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Via Padova e il fascismo nel nuovo libro di Dino Barra

È da poco nelle librerie un libro che racconta la storia della periferia di nord est di Milano nei vent’anni del regime fascista: Via Padova, una periferia milanese sotto il regime fascista. 1926-1943, Milano, Le Milieu edizioni, euro 16,90.

Il libro è stato scritto da Dino Barra, studioso e ricercatore di storia, impegnato da tempo nell’attivismo civico di zona. Arriva a due anni di distanza dal primo volume – sempre dello stesso autore – che indagava il processo di formazione della periferia di via Padova e dintorni nei primi venticinque anni del ‘900.  

Al pari del primo volume, anche questo lavoro ci parla della storia dell’area compresa tra piazzale Loreto e Cascina Gobba, via Palmanova e il naviglio della Martesana, con inevitabili incursioni verso la parte nord di viale Monza (Gorla, Precotto…) e Sesto San Giovanni a cui lo sviluppo di via Padova e dintorni è intimamente legato. Nonostante lo spazio urbano oggetto dell’indagine comprenda anche Greco (il versante meridionale, la Greco moderna), Turro e Crescenzago, la sua complessità è sintetizzata, nel titolo, dal riferimento a via Padova perché è questa la via di connessione tra gli originari borghi agricoli prima citati, la direttrice lungo la quale si sviluppa la periferia urbana che finirà per inglobare le vecchie unità amministrative.

Il libro ricostruisce tempi, modi, caratteristiche di questo passaggio dell’area a nord est di piazzale Loreto da territorio rurale a periferia urbana. Colpiscono, in primo luogo, la concentrazione temporale e l’intensità del cambiamento. Nel giro di quattro decenni – tra il 1900 e il 1940 – si riversano nella zona, e in una misura maggiore che altrove a Milano, decine di migliaia di persone: immigrati provenienti dalle campagne circostanti, e poi, via via, dalle province lombarde, dal Veneto e dalle altre regioni settentrionali (minoritaria, in questo periodo, l’immigrazione dal centro sud), alla ricerca di un lavoro purchessia, attratte dalla imponente crescita industriale dell’area sestese e del nord Milano (Pirelli, Falck, Breda, Marelli…). Sesto San Giovanni raddoppia la sua popolazione, lo stesso accade ai paesi circostanti, compreso Crescenzago, Greco, Turro. A nulla valgono le leggi antiurbanesimo e antimmigrazione fortemente volute dal regime fascista. 

Ne discende una catena di conseguenze decisive per la storia e per l’identità di questa periferia a cui non possiamo, in questa sede, che fare un cenno veloce. 

• Una crescita urbanistica tumultuosa. Si manifesta con la costruzione disordinata, generalmente ad opera di imprenditori privati, di case operaie – le case di ringhiera (‘alveari’, le definiscono i giornali dell’epoca) – soprattutto lungo gli assi viari principali che sono via Padova e viale Monza. Queste costruzioni rispondono, anche se in maniera largamente inadeguata, al bisogno di abitazioni dei tanti migranti in entrata. Essi garantiscono grandi profitti ai costruttori, nella forma prevalente dell’affitto;

• Un radicale cambiamento della composizione sociale. Il lavoro contadino lascia il campo a una popolazione prevalentemente operaia e occupata in lavori a bassa qualificazione come l’edilizia (i maschi) o il tessile e l’alimentare (le donne e anche i bambini), e tutto questo dà a via Padova e dintorni una natura marcatamente popolare e proletaria;

• La crescita di un ricco tessuto industriale. Si tratta soprattutto di piccole e medie aziende e di laboratori artigianali spesso incastrati nei cortili delle case operaie con una forte commistione di funzioni abitative e funzioni produttive;

• Un’alta densità relazionale. In conseguenza di quanto detto, via Padova assume le caratteristiche proprie di quella che alcuni studiosi chiamano ‘vecchia periferia’: non una zona dormitorio, ma un territorio dove si vive, si lavora, si intrecciano relazioni, ricco di attività, luoghi di incontro e di socializzazione, a incominciare dalle cosiddette attività commerciali di prossimità.  

• Una comune condizione di precarietà lavorativa, abitativa, esistenziale. Da un lato questo innesca sacche significative di devianza ma dall’altro lato, ed è l’aspetto più significativo, si diffondono pratiche di solidarietà orizzontale: da quelle più informali (mutuo aiuto nella cura dei bambini nei cortili, ad esempio) alla costituzione di cooperative di consumo, circoli ricreativi, associazioni mutualistiche distribuite in tutto il territorio.  

• Il ‘sovversivismo’ diffuso. Motori di queste strutture solidaristiche sono soprattutto i cosiddetti circoli ‘sovversivi’: quelli degli anarchici, dei socialisti, dei comunisti che vanno diffondendo idee e speranze di liberazione sociale e che sono protagonisti di una lotta politica in quartiere molto accesa e coinvolgente. Anche questo diventa un elemento di forte identità collettiva per via Padova e dintorni e l’autore vi insiste particolarmente con la ricostruzione minuziosa degli intensi conflitti politico sociali (fatti, volti, luoghi restituiti nella loro fisicità) che in questo territorio accompagnano le vicende della grande storia italiana dei primi cinquant’anni del Novecento. 

Il libro si regge su una ricca base documentaria, come dimostra l’apparato di note che ne accompagna i capitoli, con una pluralità di fonti che vanno dagli articoli di giornali dell’epoca ai rapporti di polizia conservati negli archivi di stato, dalla documentazione statistica rintracciata nelle biblioteche, ai comunicati e relazioni dei partiti e gruppi clandestini ritrovati presso importanti archivi privati.

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