Non è un caso che antiche cascine del territorio abbiano tenuto a battesimo le nuove chiese parrocchiali della zona: la ragione sta nel fatto ch’erano edifici (quasi sempre) abbandonati dalla popolazione rurale degli anni ’50-60 (ch’era andata assottigliandosi per trovare lavoro più remunerativo nei complessi industriali del Nord-Milano), ma anche perché disponevano di appezzamenti di terreno circostanti, utili ai futuri oratori. Così è successo per quella cascina fronteggiante la chiesetta di San Mamete, poi chiamata “Stalla Cattedrale” e per la Cascina Faipò che lasciò il posto alla chiesa di San Basilio. Rimanendo ancora nella zona di Cascina Cattabrega e San Paolo (vedi numero precedente) in via San Mamete scopriamo due antiche presenze: la chiesa di San Mamete risalente alla metà del ‘500 (poi ristrutturata nel ‘900) come luogo di culto annesso al Lazzaretto, ricovero per gli appestati voluto dal cardinale Carlo Borromeo, di cui possiamo trovare le ultime tracce in quell’edificio che, partendo dai pressi della chiesetta va a confondersi con la parte posteriore delle ville che abbelliscono la riviera del Naviglio Martesana.

Cascina Lazzaretto
Infatti, sempre alla ricerca delle famose tracce, a metà di via San Mamete, dove l’edificio fa angolo con una recente birreria, su un muro scrostato, possiamo leggere l’insegna stradale “Ex-via già Lazzaretto”. È la prova che qui, fin dall’epoca delle pestilenze, esisteva il Lazzaretto di Crescenzago, nei secoli successivi trasformato in cascina. Già Lazzaro Cairati nel 1468 ne aveva abbozzato il progetto (che tuttavia venne costruito in eleganti linee architettoniche fuori Porta Venezia), il Lazzaretto di Crescenzago, invece, fu realizzato per volontà di san Carlo Borromeo nel 1576 col preciso intento di dare ricovero ai malati del contagio qui trasportati lungo il Naviglio Martesana. Terminata l’epoca del ricovero per i malati, la chiesina di San Mamete continuò a garantire la presenza religiosa e dal 1957 anche la messa domenicale per gli abitanti delle cascine circostanti. Con l’espansione abitativa del quartiere Adriano negli anni ’80-90 del ‘900, date le sue ridotte dimensioni, la chiesa di San Mamete non poteva più accogliere le migliaia di abitanti del nuovo quartiere: si trovò allora uno spazio adeguato nella cascina abbandonata che sorgeva lì davanti, e che venne chiamata perciò “Stalla-Cattedrale” (1990) in attesa dell’inaugurazione (1998) della nuova chiesa parrocchiale di Gesù a Nazareth in via Trasimeno.

Cascina Faipò
La Cascina Faipò (dal nome di un generale napoleonico che qui, sembra, abbia dislocato il suo quartier generale) era situata lungo la strada che da Crescenzago conduceva a Gorla, sull’area dove ora sorge la chiesa parrocchiale di San Basilio, in via Magistretti.
La storia della Cascina è interamente connessa con le decisioni della Curia per questa parte della città, che nel frattempo aveva già acquisito l’area della vecchia Cascina Faipò. Nascosta tra le case dei lavoratori – venute su alla buona col lavoro domenicale e dei giorni liberi – la chiesa di San Basilio che ha sostituito la cascina Faipò, fra prati, orti e cave di ghiaia, oggi sta all’incrocio di via Ponte Nuovo con via Asiago, esattamente in via Magistretti 1, via corta dedicata al medico chirurgo dell’Ospedale Maggiore. La chiesa «progettata nel 1968 dall’architetto Agostino Del Corno, con semplicità di linee quasi utilitaristica – scriveva 30 anni fa Valentino De Carlo su Le strade di Milano (1991) – è caratterizzata da un tetto a capanna sormontato da un tiburio a pianta triangolare, con un interessante contrasto tra l’elemento decorativo del nudo mattone e la fascia di cemento.»
Come si giunse allo sgombero della cascina poi sostituita dalla chiesa? Nel 1963 in collaborazione con l’ingegner Carlo Galimberti, veniva firmato il compromesso per l’acquisto della vecchia Cascina Faipò, che per la posizione si giudicava essere collocata in una zona più centrale rispetto ai confini iniziali della parrocchia. Ma per la costruzione della chiesa – aggiunge don Attilio Melli, primo pastore della nuova parrocchia – si è dovuto attendere parecchio tempo perché fu necessario trovare una sistemazione abitativa alle 76 famiglie che occupavano la cascina, operazione che si prolungò per 3 anni.
Dopo che fu sgomberata e demolita la cascina Faipò, si diede avvio alla costruzione della nuova chiesa.
Quella che oggi rappresenta un nucleo urbano fortemente abitato da nuove costruzioni, nei secoli passati era invece aperta campagna. Ma dopo la prima guerra mondiale, le fabbriche del nord-est attrassero un forte flusso migratorio: attorno al vecchio edificio rurale sorsero diversi condominii, diminuirono le aree coltivabili che ebbero effetti sconvolgenti per la cascina: stalle e fienili vennero trasformati in magazzini e abitazioni, mentre nella cascina veniva aperta un’osteria con il gioco delle bocce. La presenza di nuove migliaia di abitanti consigliò la Curia di costituire una nuova parrocchia partendo dalla vecchia cascina Faipò che si collocava proprio al centro del territorio parrocchiale.
Faiporina e le altre cascine
Una cascina più piccola si trovava nelle vicinanze della Cascina Faipò accanto al Naviglio Martesana, probabilmente una sua dipendenza: infatti era chiamata Faiporina.
Cascina Nuova. Lungo la strada di campagna che un tempo collegava Crescenzago con Precotto, detta anche “Strada comunale da Precotto a Crescenzago”, che, dopo la costruzione del cimitero di Crescenzago, era chiamata anche “Strada Comunale per la cascina Faipò e cimitero”, si trovava la Cascina Nuova, ancora attiva nei primi decenni del ‘900, poi trasformata, causa la forte urbanizzazione della zona, in palazzi condominiali. Per gli amanti della storia suggeriamo una possibile collocazione verso il n. 15 di via del Ricordo.
Riprendiamo in mano la bibbia delle informazioni del primo ‘900 relative alle cascine della zona Crescenzago. Mi riferisco al volume Crescenzago e via Padova. La storia e le immagini di Marabelli, Ornaghi, Scala, Schiannini (2017). Mi sembra interessante perché ci riporta nell’atmosfera rurale tipica del primo ‘900, oggi purtroppo scomparsa.
«La Cascina Angelica sorgeva nell’attuale via Trasimeno al civico 19. Costruita probabilmente nella seconda metà del XIX secolo, non era grande e aveva pianta a L: un lato era occupato dalla stalla con il sovrastante fienile, l’altro lato aveva due unità abitative, una al pian terreno e una al primo piano a cui si accedeva mediante una scala esterna. I terreni confinavano a nord con la Cascina Gatti e a sud con i caseggiati di via San Mamete. Nel 1949 la cascina e i terreni circostanti (circa 10.000 m²) furono acquistati dal Comune di Milano, il cui piano regolatore del 1953 ne prevedeva la demolizione per il passaggio della Tangenziale Nord. Il piano non fu attuato ma negli anni ’60 la maggior parte dei terreni sono stati occupati dalle strutture di un centro sportivo e il fabbricato, caduto in abbandono, negli anni ’70 è stato utilizzato per le riunioni da un gruppo politico che ha provveduto a qualche lavoro di manutenzione. Il successivo ampliamento del centro sportivo ha comportato la completa demolizione.
La Cascina Colombo, costruita negli anni ’20 del Novecento, era situata all’attuale civico 88 di via Adriano. Il nome è dovuto ai proprietari, la famiglia di Paolo Colombo con la moglie Luigia Brambilla e sette figli. L’attività principale di Paolo era quella di trasportare, con i suoi cavalli, merci di ogni tipo ma principalmente fieno e paglia destinati a venir caricati sui barconi della Martesana. La signora Luigia (per tutti Luisina), aiutava nei campi e sul Naviglio lavava i panni della numerosa famiglia e di altre. I Colombo avevano preso in affitto dei terreni attorno alla cascina, dove coltivavano soprattutto biada per i cavalli ma anche erba, mais e frumento. Come spesso succedeva in quegli anni, nella stalla oltre ai cavalli c’era anche un paio di mucche che fornivano latte e burro per i fabbisogni familiari. Nel 1939 Paolo Colombo morì e allo scoppio della guerra alcuni figli furono chiamati alle armi, interrompendo di fatto l’attività della cascina. La cascina era posizionata di fronte allo stabilimento N della Magneti Marelli di via Adriano, per proteggere la quale venne piazzata nelle immediate vicinanze una batteria contraerea. Nel 1975 l’attuazione del piano regolatore che prevedeva l’allargamento della via Adriano comportò l’esproprio della striscia di terreno sulla quale sorgeva l’edificio, che venne quindi demolito».




