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Scuola, si riparte. Il ricordo del provveditore

di Yuri Coppi


Mi ricordo che, mentre salivo le scale per andare in classe, la mia prima classe, ero molto preoccupato, come lo può essere un bambino di sei anni al suo primo giorno di scuola.

Ricordo anche che il mio compagno di banco lo conoscevo già. E ne ero molto contento.

Ricordo che quei cinque anni di scuola elementare furono molto belli.

Ricordo che la mattina, fuori dalla classe, una bambina, Luisa, portava dei dischi e noi ballavamo.

Ricordo che chi non voleva ballare, giocava a “palletta” nel corridoio. 

Ricordo che, una volta, scapparono le bisce dalla teca dove le teneva il maestro Manzi, nella stanza accanto alla nostra, e che le bidelle fecero fatica a non mandarlo a quel paese. 

Tra tutti, ricordo la maestra Manna, la mia maestra, che ci insegnava che la scuola non è solo nella scuola, ma che è anche fuori, nel quartiere dove vivi e nel mondo che ti circonda, dove succedono le cose e tu devi avere la possibilità di vederle e, soprattutto, di capirle.

Quando ho lasciato la “Fratelli Bandiera” e con lei la mia maestra, ho pianto. Ricordo anche il primo giorno di scuola media, la delusione di non avere nessuno dei miei amici di sempre nella mia nuova classe. 

E quant’era brutta la mia nuova scuola. Era un condominio riadattato. Ho scoperto che c’era di peggio. So che c’è ancora di peggio. E poi, lo sconcerto per le nuove regole. Alzarsi quando entrava in classe il professore. Stare seduti sempre agli stessi posti. Le urla delle professoresse. Quella di matematica, all’inizio, mi terrorizzava, dopo ho scoperto che era brava, molto brava a insegnare.

In quei tre anni la scuola è tornata tra le mura e sui libri, ma i professori erano bravi, bisognava riuscire a capire cosa volessero. Non era facile, perché li vedevo come provenienti da altre epoche, rigorosamente passate. 

Ma, ormai adattati al sistema, ci vendicavamo sugli insegnanti più giovani. Ricordo un volenteroso supplente di musica che, con un gesto rivoluzionario, durante la sua ora tentò di farcela ascoltare per davvero. In classe scoppiò il caos e la Reazione trionfò.

Ricordo che fu alla scuola media che vidi il primo schiaffo dato a uno studente per comportamento inappropriato. Quel mio compagno di classe si alzava alle quattro di mattina per aiutare il padre a fare il pane. In terza media non c’era più. Era una specie di bullo, non mi dispiacque che ci avesse lasciato. Ora so che la scuola, con lui, aveva fallito.

Alla scuola media ho conosciuto un mio grande amico, Giancarlo. Dalla seconda media e per tutto il liceo è stato il mio compagno di banco. Ricordo che il primo giorno di liceo andai insieme a lui. Stessa scuola, stessa classe, stesso banco. 

Yuri Coppi provveditore Scuola
Yuri Coppi

Ricordo i nuovi compagni di classe. C’era energia, trattenuta e dosata in modo diverso tra di noi, magari in attesa di un professore in grado di comprenderla, di farla crescere e di indirizzarla.

Ricordo di aver avuto l’impressione che, malgrado l’angustia delle aule e le regole simili a quelle della scuola media, ci fosse più aria e più luce. 

L’idea era quella di entrare in un mondo nuovo, più adulto, dove la realtà esterna tornava a far parte della scuola. 

Ricordo la professoressa Paris, la professoressa di tutto (italiano, latino, storia, geografia, educazione civica) del primo biennio. Era trentina e adorava Manzoni. Io no. Ma era anche lei una di quelle brave, una che te la ricordi con affetto e ammirazione anche quarant’anni dopo.

Ma ricordo anche quelle meno brave. Quella di storia e filosofia. Consigliava a tutti di leggere il Nome della Rosa raccontandone meraviglie. Se volevi essere uno dei suoi preferiti era la cosa migliore da fare. Per spregio lessi solo le pagine finali, per scoprire subito l’assassino. Ancora oggi è un libro che mi rifiuto di leggere.

Ricordo il titolo di uno dei libri scritti dal professore di inglese, Il camuffamento del trascendente nella società contemporanea. Per evitare che ci interrogasse o che spiegasse qualcosa, lo facevamo parlare delle sue fatiche letterarie e filosofiche e così l’ora passava e l’inglese non lo imparavamo. Dei veri geni.

Ricordo l’unico giorno di autogestione che riuscimmo ad organizzare in cinque anni e cosa urlai per le scale alla vice preside che non voleva farcela fare: “Lei vuole un cimitero, non una scuola!”. Ricordo che fui molto soddisfatto per averglielo detto.

Ricordo che l’ultimo anno, una compagna di classe fece la maturità col pancione. Era incinta. 

Non eravamo più bambini, né adolescenti.

Il mondo vero ci attendeva.


Noi Zona 2 reader lettore zen

Questo articolo, insieme a molti altri, apparirà sul prossimo numero di NoiZona2 che verrà distribuito a partire dal giorno

🗓 15 Settembre 2022

Puoi trovarlo gratuitamente presso questi punti di distribuzione, oppure, in formato pdf sfogliabile sul nostro archivio Online.

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