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“Non devo vergognarmi di essere ebreo”

Emanuele Fiano, esponente di spicco del PD, parla della guerra in Medioriente e le sue ripercussioni sul mondo.

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di Fabrizio Vangelista, Direttore de La Città di Cinisello


Partiamo dalla stretta attualità. L’esercito israeliano è entrato a Gaza ormai da giorni, i raid aerei continuano così come il lancio di razzi dalla Striscia. Sul campo ci sono ormai migliaia di morti tra i civili e tantissimi bambini. Cosa dovrebbe accadere per un cessate il fuoco immediato e chi dovrebbe muoversi? 

Mah, prima di tutto non è detto che noi si possa capire esattamente che cosa serva per far finire la guerra, nel senso che si intersecano principi umanitari fondamentali, obiettivi militari, dinamiche politiche internazionali, e una lunghissima storia di azioni e reazioni in quella terra.

La guerra inizia con un attacco disumano di Hamas, organizzazione terroristica, a cui Israele reagisce prima, e secondo me purtroppo, ma forse non poteva essere altrimenti, con vasti bombardamenti aerei, che causano migliaia di morti, e poi con l’azione di terra, che soprattutto gli Usa hanno fatto rimandare a dopo, secondo me sbagliando. La società israeliana è convinta a larghissima maggioranza di dover arrivare a neutralizzare il vertice del comando militare di Hamas a Gaza.

Non dimentichiamoci che Hamas ha continuato a bombardare con missili e razzi Israele dal 7 ottobre, migliaia e migliaia di missili, ogni giorno ed ogni ora, in questo affiancato da Hezbollah, che oggi ha causato 4 feriti gravi al nord e da una milizia dello Yemen che spara verso il sud di Israele missili molto avanzati, nonché anche da altri gruppi di Hamas ed Hezbollah in Siria.

Oltre l’aspetto di neutralizzare il comando di Hamas, vi è poi l’aspetto terribile degli ostaggi a Gaza, 240, tra cui un neonato di 8 mesi e ottuagenari, prigionieri non si sa come e non si sa dove, usati come arma di ricatto. Io penso che la guerra abbia già causato un numero di perdite civili in Israele prima e a Gaza poi, comunque devastante, ed ogni essere umano civile è per me uguale, e ugualmente drammatica la sua uccisione, ma non è uguale la narrazione dei fatti che hanno portato alla sua morte. In Israele hanno abbandonato le loro case circa 120/150mila persone perché è impossibile vivere avendo sulla porta di casa un nemico armato fino ai denti, fatto di decine di migliaia di miliziani terroristi, che hanno come scopo statutario quello di distruggerti.

Dunque, l’opinione pubblica israeliana, scioccata dal Pogrom del 7 ottobre, vuole la neutralizzazione di questo pericolo incombente. Anche se sta crescendo la pressione sul governo perché faccia liberare gli ostaggi attraverso trattative che comprendano la cessazione anche parziale delle attività militari. Ovviamente i morti civili palestinesi pesano, anche sapendo della responsabilità di Hamas di nascondere le proprie infrastrutture e rampe di lancio in mezzo agli asili, alle scuole, alle università, ai centri sociali e alle moschee, oltre che agli ospedali. Ma pesano, sono esseri umani innocenti la cui morte è un peso sulla coscienza di tutti. Servono comunque perlomeno tregue umanitarie.

Per adesso si verificano soste umanitarie negli ultimi giorni fino a 7 ore giornaliere, e Israele sta collaborando a spostare i malati dagli ospedali sotto protezione, ma questo ovviamente non è ancora la fine dei combattimenti. Chi deve muoversi? Tutti gli attori credibili, certo l’ONU che elegge come presidente della commissione per i diritti umani, un rappresentante del governo dell’Iran, paese dove i diritti umani sono calpestati, mi sembra difficile considerarlo un attore credibile».

Dopo le atrocità di Hamas del 7 ottobre scorso una reazione militare israeliana era scontata e anche legittima ma ora l’impressione è che si stia scivolando verso una guerra totale. Ci sono responsabilità del governo di destra nell’escalation? E quali le possibili evoluzioni?

«Non so cosa sia una guerra totale, Israele, questa volta è in guerra contro chi gli sta sparando dal nord e contro chi ha devastato la propria popolazione con stupri, famiglie bruciate, bambini decapitati e assassini casa per casa, non ci sono giustificazioni possibili per Hamas, il quale da 17 anni avrebbe avuto la possibilità di far fiorire Gaza come un territorio libero e prospero, facendo quello che fece Arafat negli anni ’90, abbandonando il terrorismo.

Se invece mi chiede se la destra israeliana ha delle responsabilità per il blocco del processo di pace, questo sì, non è la sola, ma certamente sì. La continua espansione degli insediamenti in Cisgiordania, fuori da criteri di legittimità anche secondo le risoluzioni dell’Onu, in opposizione a qualsiasi futuro accordo di pace, la difesa dei comportamenti violenti di una parte di coloro che sono lì insediati, nei confronti dei palestinesi, il congelamento dei rapporti con l’ANP, il tentativo di diminuire il tasso di democrazia in Israele, in ultimo anche con l’emarginazione del ruolo della corte suprema, giudice supremo anche di politiche di questo tipo, sono tutte responsabilità di questi quasi 20 anni di Netanyahu. Ma io non voglio dimenticare anche le responsabilità dell’altra parte.

Che ci sono state, sarebbe bastato accettare da parte araba (i palestinesi non esistevano come entità) la risoluzione dell’ONU 181 del 1947, che prevedeva la spartizione del territorio in due, e non saremmo qui a contare i morti, così come sarebbe bastato accettare le proposte di restituzione dei territori fatte da Israele nel 2000, nel 2008, e nel 2014 e avremmo già risolto il problema, e Hamas avrebbe potuto sfruttare i miliardi di dollari ricevuti non per arricchire i suoi dignitari che abitano in albergo nel Qatar, ma per costruire uno Stato democratico e autonomo invece che una provincia dell’Iran sotto dittatura.

Le possibili evoluzioni sono, come è accaduto nella storia dopo la guerra del 1973 e dopo la guerra del 1982, che questa drammatica guerra porti a svolte politiche in entrambe i campi ed alla neutralizzazione e marginalizzazione delle organizzazioni terroristiche».

È ancora plausibile il vecchio adagio “due stati per due popoli”? 

Io penso di sì, sono un inguaribile ottimista, e la politica senza un obiettivo da raggiungere non ha uno scopo; siamo rimasti in pochi, ma anche quando Rabin cominciò a colloquiare con il nemico Arafat non penso fossero in molti gli ottimisti. Sarà difficilissimo e lunghissimo, ma non vedo altre possibilità».

Lo stato di Israele è una democrazia compiuta e sono tante le voci che possono esercitare il dissenso al suo interno. Eppure, una parte consistente dell’opinione pubblica europea non sembra solidarizzare con Israele, col suo diritto di difendersi dal terrorismo, forse anche di esistere. Che ne pensa?

«Devo dire la verità, sono molto stanco, da cittadino italiano di sinistra, di cultura socialdemocratica, ed ebreo, di dover spiegare mille e mille volte la storia di quel territorio per sfatare miti e pregiudizi. Sono stanco e in parte ormai disilluso che il pregiudizio in generale, verrà mai sconfitto, ma ho ricevuto un’eredità morale da mio padre e credo che questo sia un mio compito.

La parte di opinione pubblica che addossa tutte le colpe ad Israele, dovrebbe invece applicare il motto della sinistra israeliana che si pronunciava negli anni 90 quando la pace era sbocciata. In quella terra insanguinata si scontrano due diritti e non un diritto ed un torto, è questo l’unico punto di partenza possibile, che taglia fuori tutti gli estremismi, da chi come Hamas e altri vorrebbe riacquisire tutto il territorio dal mediterraneo al giordano, cancellando Israele, a chi in Israele pensa che Giudea e Sa­maria appartengano a Israele per diritto biblico e dunque non vogliono sentire ragioni.

Sulla base di questa impostazione, si può capire anche che, un’equazione cara ad una certa sinistra magari estrema, secondo la quale, Israele è più forte militarmente e quindi ha sicuramente torto, ed i palestinesi sono la parte debole e quindi hanno sempre sicuramente ragione, è terribilmente sbagliata. Hamas e Hezbollah vengono finanziati dal Qatar, il 4° paese al mondo per reddito pro-capite, l’Iran è un paese ricco perlomeno nella casta che comanda, dunque andrei piano con queste semplificazioni. E poi è troppo seducente la falsa retroversione del concetto che le vittime della Shoah sono diventate come i loro carnefici; non c’è nulla di vero, ma seduce la psicologia di massa, perché identifica un nemico, il che è sempre la migliore via di uscita di fronte alla complessità dei fenomeni.

Nelle ultime settimane sono stati molti gli episodi di antisemitismo emersi in tutta Europa. Che effetto le fa vedere riemergere l’odio? Pensa possa rappresentare una minaccia reale per la sicurezza degli ebrei nel mondo?

Temo purtroppo di sì in particolare in alcuni paesi, penso alla Francia al Belgio alla Germania e anche agli Stati Uniti, dove la dimensione delle comunità ebraiche e anche in alcuni casi la dimensione delle comunità musulmane rende più pericoloso il clima di questi giorni.

Che effetto mi fa? Temo di doverle dare la stessa risposta che ho ascoltato da Liliana Segre in questi giorni, e cioè che la loro vita e poi la nostra, di figli della Shoah, o perlomeno di coloro i quali si sono impegnati ad estrapolare dalla loro memoria delle lezioni per il presente, sia stata una vita passata invano, combattendo contro pregiudizi, odio, ed ignoranza, che non sentono il passare del tempo, che non invecchiano e non passano di moda.

Io ricevo ogni giorno centinaia e centinaia di sollecitazioni attraverso tutte le piattaforme social a rispondere di quello che succede in Israele, non a spiegare come lei mi chiede con gentilezza e cognizione di causa, ma a discolparmi in quanto ebreo, a scusarmi in quanto ebreo.

In questi giorni è uscito il mio nuovo libro Sempre con Me Le lezioni della Shoah; è un libro ovviamente scritto prima di questa guerra, che si interroga sull’origine del male, sull’origine delle dittature, sull’origine del razzismo, e dell’antisemitismo, e su come uomini comuni possano diventare criminali contro l’umanità e sul fatto che costoro non erano mostri ma esseri umani esattamente come noi, ma imbevuti di un’ideologia assassina.

Il 16 novembre l’ho presentato al memoriale della Shoah insieme a Liliana Segre e lei non sa quante decine di commenti io abbia ricevuto in tante forme, chiedendomi di non presentarlo, perché è offensivo oggi parlare di Shoah e dovrei vergognarmene mentre muoiono i bambini palestinesi. Intanto a Parigi le case degli ebrei vengono segnate con le stelle di Davide, a Roma le pietre d’inciampo vengono annerite, a Lione una donna ebrea viene pugnalata e a Torino un uomo al grido di Allah è grande si presenta con un coltello in mano davanti alla porta della sinagoga. Io rimango un uomo fiducioso e ottimista nella forza della ragione e nei principi umani e morali nei quali sono stato cresciuto e non smetterò mai di battagliare per questi.


Per gentile concessione de La Città 

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