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Ma cosa sono questi Pfas?

Non c’è da preoccuparsi, ma è meglio saperlo prima di riempirsi il bicchiere d’acqua.

I Pfas (acronimo di Perfluorinated Alkilated Substances) sono sostanze chimiche di sintesi introdotte sul mercato dell’industria nella metà del secolo scorso. Per le loro caratteristiche di idrorepellenza e resistenza alle alte temperature, sono state e sono ancora largamente utilizzate in ambito industriale (cosmetici, abbigliamento con caratteristiche di idrorepellenza, padelle antiaderenti, imballaggi…).

Il problema è che una volta disperse in natura, sono poco o nulla biodegradabili, tanto che sono state rilevate pressoché in tutto il pia­neta: nel cibo, nell’aria, nella pioggia, addirittura nel latte materno delle orse polari. Al punto che, Giu­seppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace, ha dichiarato al Corriere della Sera che in Lombardia esiste “un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo”.

In nazioni come gli Stati Uniti il limite massimo consentito in campioni di acqua potabile di queste sostanze è del 13,1%, in Danimarca del 13,4%. 

Lo studio di Greenpeace condotto attraverso richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e gli enti gestori delle acque potabili lombarde, ha rivelato che nei 738 campioni analizzati tra il 2018 e il 2022, il 19% circa del totale è risultato positivo alla presenza di PFAS.

Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, in cui l’84,8% dei campioni risulta positivo, seguono Bergamo e Como con il 60,6% e il 41,2%. Non è dato sa­pere però quale sia la concentrazione percentuale di Pfas nei campioni (ndr).

In termini assoluti, la provincia di Milano (in cui si registra il numero più elevato di analisi effettuate) ha il primato di campioni in cui sono stati rilevati PFAS (201), seguita dalla provincia di Brescia (149) e Bergamo (129). 

Ma quali sono i pericoli per la salute umana legata alla presenza dei PFAS? Per Greenpeace, che cita il pronunciamento dell’Ente europeo per la sicurezza alimentare (Efsa), secondo il quale, a fronte degli studi scientifici attualmente a disposizione, si rileva un possibile aumento del colesterolo, mentre altri rapporti, secondo Emilio Benfenati, capo dipartimento Ambiente e salute dell’Istituto di ricerche Mario Negri, sempre interpellato dal Corriere della Sera, “hanno mostrato alterazioni a livello di fegato e tiroide, del sistema immunitario e riproduttivo, e lo sviluppo di alcuni tipi di neoplasie”.

“Niente paura però – dice Benfenati – in questo momento possiamo bere l’acqua del rubinetto perché i controlli ci sono e sono serrati anche perché, se si superano i limiti autorizzati, si rischia il penale”.

Per quanto riguarda la Lombardia, Stefano Polesello, ricercatore dell’IRSA (Istituto di ricerca sulle acque) – Cnr di Brugherio, sempre ai giornalisti del Corriere, dice: “I gestori dell’acqua lombardi sono già attivi dal 2016 nel controllo della presenza di Pfas. Oggi l’azione mitigativa più utilizzata dai gestori dell’acqua è il ricorso ai carboni attivi […] solo nei casi più seri si può ricorrere a un trattamento più impegnativo come l’osmosi inversa. […] Quindi continuiamo per ora a bere l’acqua del rubinetto perché è, in genere, controllata”.

E conclude che: “per quanto riguarda i cibi, gli alimenti che accumulano maggiormente i Pfas sono le uova e il fegato. Non significa che non dobbiamo più mangiare uova, il messaggio è di limitare il consumo di uova provenienti da aree impattate”.

Per saperne di più è sufficiente consultare il sito di Greenpeace ed effettuare una ricerca attraverso la parola chiave “Pfas”.

D.L.

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