di Anna Maria Maniezzi, medico psicoterapeuta
L’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea che il godimento del più alto standard di salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razze, religione, credo politico, condizione economica o sociale. La salute è riconosciuta diritto fondamentale dalla nostra Costituzione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1998 ha inserito la medicina di genere nell’Equity Act, a testimonianza che il principio di equità doveva essere applicato all’accesso e all’appropriatezza delle cure, considerando l’individuo nella sua specificità e come appartenente a un genere con caratteristiche definite. Le “differenze di genere” sono state successivamente identificate come tema imprescindibile delle politiche sanitarie.
Cosa si intende per medicina di genere? La medicina di genere non è la medicina della donna o una nuova branca ma è la dimensione interdisciplinare, trasversale alle diverse specialità, che studia l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche, ambientali, culturali e relazionali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
A dare particolare risalto e impulso all’argomento è stata la cardiologa americana Bernardine P. Healey che nel 1991 prese spunto da Yentl – l’eroina di una storia di I. B. Singer che aveva dovuto assumere abiti maschili per poter studiare il Talmud. Per descrivere la Sindrome di Yentl, B. Healy si chiedeva se le donne dovessero vestirsi da uomo per essere curate adeguatamente, vista l’evidente discriminazione da lei evidenziata rispetto alle donne in campo cardiologico a livello clinico-diagnostico, terapeutico e di ricerca.
Sono molti gli studi e i dati che indicano importanti differenze tra uomini e donne a livello di frequenza e nelle modalità in cui insorgono, si manifestano, progrediscono le patologie comuni, nella risposta ai trattamenti, ai nutrienti, come anche nelle reazioni ai farmaci.
Infatti, ciò che caratterizza gli uomini e le donne non sono solo differenze sessuali. Pertanto, averne consapevolezza e conoscenza è fondamentale per una corretta prevenzione, un miglior accertamento diagnostico e l’individuazione della terapia più idonea a ciascun caso. Si tratta di un’accezione più ampia, una prospettiva dai risvolti sia biologici che psico-socio-culturali e ambientali.
In Italia, consapevoli che “senza un orientamento di genere e di una coscienza culturale e scientifica delle implicazioni che tale tema implica per la politica sanitaria nazionale e internazionale, la politica della salute può risultare metodologicamente imprecisa e persino discriminatoria”, fin dal 2018 (L. 3/2018) – primo Paese in Europa – ci si è dotati di strumenti normativi in questo campo. Nel 2019 è stato approvato formalmente il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale”. Il Ministero della Salute precisa che: la dimensione di genere nella salute è pertanto una necessità di metodo e analisi che può anche divenire strumento di governo e di programmazione sanitaria. Per arrivare a questo obiettivo è però necessario:
• promuovere un’attività scientifica e di ricerca con un’ottica di genere;
• sviluppare attività di prevenzione e individuare fattori di rischio genere-specifici in tutte le aree della medicina;
• includere uomini e donne nei trial clinici;
• sviluppare percorsi di diagnosi e cura definiti e orientati al genere;
• formare e informare il personale sanitario;
• includere gli aspetti di genere nella raccolta e nell’elaborazione dei flussi informativi e nella formulazione dei budget sanitari.
Queste poche note introduttive per segnalare come il genere vada considerato un fondamentale determinante di salute, una visione olistica, fondamentale per l’equità delle cure, cure cioè centrate sulla persona, nella diagnosi, terapia, riabilitazione e prevenzione.