di Cesare Lopopolo
Tra le piccole e giovani realtà milanesi di Zona 2 T-Space rappresenta una stimolante ibridazione tra studio fotografico e spazio espositivo d’arte contemporanea. I fondatori, Gilli Spreafico e Rui Wu, ci raccontano di questo raro gioiello a due passi da viale Monza.
Com’è nato T-Space?
T-Space nasce dall’esigenza, usciti dall’Accademia di Brera, di trovare uno sbocco lavorativo. La fortuna è che la fotografia si presta a svariati utilizzi, non solo in ambito artistico. Così abbiamo iniziato con la documentazione artistica, tanto per non allontanarci troppo dalle nostre origini.
Veniamo entrambi da esperienze differenti, io (Gilli), ho studiato arti visive all’accademia Carrara di Bergamo, mentre Rui scenografia all’Accademia di Brera, siamo perciò arrivati alla specialistica di fotografia (sempre a Brera) con un bagaglio molto variegato. La nostra fortuna è stata di poter contare su un background di esperienze che ci ha dato la sensibilità per affrontare il mondo del lavoro con un’attenzione diversa. Va detto in ogni caso che l’elemento studio è nato esclusivamente come potenziamento per lo spazio espositivo, cuore pulsante di T-Space.
Com’è stato confrontarsi, freschi di laurea, con la realtà lavorativa di una città come Milano?
Molto duro all’inizio (ridono). Siamo partiti da zero anticipando molto in termini economici e munendoci di tanta lungimiranza e pazienza. Con il tempo abbiamo raccolto i primi frutti, rendendoci conto con sorpresa che i meccanismi lavorativi della città funzionano ancora tramite piccole reti di contatti e passaparola, a differenza della Cina, per esempio, dove spesso il successo lavorativo moltiplica la domanda di collaborazioni e contatti.
Da cosa dipende la scelta di questo spazio, che rapporto c’è con Zona 2?
Abbiamo passato due mesi a cercare diversi spazi. Ci siamo concentrati su viale Monza, viale Certosa e zona Bovisa. Abbiamo scelto via Bolama perché offriva lo spazio meno costoso, più illuminato, con meno necessità di ristrutturazioni. Ed è una zona molto ben servita dai mezzi pubblici. Il fatto di essere così lontani dal centro di Milano rende il quartiere simile a una piccola realtà, come quella di un paesino in quanto a comodità e cortesia degli abitanti.
Cosa ci dite dello spazio espositivo?
Abbiamo iniziato con una squadra formata da sei persone circa, proponendo per il primo anno esposizioni di giovani artisti principalmente di Milano, realizzando tre mostre. Il secondo anno, grazie al nome e al passaparola, il nostro team curatoriale ha invitato solo artisti che operano nel territorio anglosassone. Ospitiamo in media dalle quattro alle cinque mostre l’anno.
Lasciamo tanto spazio agli artisti, collaborando il più possibile per realizzare il progetto che hanno in mente. Negli ultimi tempi entriamo sempre più nel merito del lavoro, fornendo un ruolo che, dalla semplice collaborazione, sfocia anche in un rapporto più diretto con l’elaborato dell’artista ospite. Negli ultimi tempi, essendo rimasti solo noi due, abbiamo capito che le vere competenze che potevamo fornire erano anche tecniche, pratiche.
Parlateci della mostra appena conclusa, m’ama non m’ama di Luisa Turuani
Luisa Turuani viene dalla scultura. Il progetto esposto è stato realizzato in stretta collaborazione con noi e le riprese sono durate tre mesi. Si tratta di una video performance in piazza Duomo, luogo dove è vietato far volare droni. Partendo da questo presupposto Luisa – con un pizzico di ironia – segue (o pedina) i piccioni della piazza, tenendo in mano questo drone acceso, il cui scopo principale (quello di volare) non può essere utilizzato. Gli stessi piccioni hanno una relazione estetico-simbolica con il drone, essendo uccelli utilizzati in passato per scopi militari.
Nel video è presente anche una componente sonora molto importante, realizzata grazie alla sinergia di T-Space con Paolo Romano, stampatore fine art e musicista che da due anni collabora all’interno del nostro studio. È stato un progetto importante perché frutto di uno sforzo corale da parte nostra e dell’artista.