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Abbandonare gli animali è reato!

Nella nostra lingua esiste una parola molto antica, di origini latine, che identifica il reato di furto di animali. Le radici di questa parola letteralmente significano condurre via: l’abigeato è esattamente il reato di chi spinge via e allontana un capo di bestiame dagli altri, appropriandosene poi indebitamente.

Il furto di animali nelle società di pastori è sempre stato un problema serissimo, ma anche difficile da dimostrare, quando le mandrie o le greggi venivano condotte nei pascoli aperti e i furti erano limitati a pochi capi. Per questo motivo è diventato necessario adottare dei sistemi di riconoscimento dei singoli animali, di modo da poterne provare l’appartenenza a quel determinato pastore, a quel gregge, a quella mandria.

Gli esseri umani hanno sempre tenuto al possesso dei propri animali e i ladri venivano puniti severamente. Il bisogno di identificare ogni animale, uno per uno, come individui specifici appartenenti a una sola persona, è stato soddisfatto inizialmente con le marchiature e, molto più recentemente, con i tatuaggi, i tag auricolari, e finalmente con i microchip. Tutti sistemi che in modo più o meno sofisticato dicono: “questo animale è mio!”.

L’abigeato, allontanare un animale dal gruppo per appropriarsene, è un reato davvero curioso perché ha il suo esatto opposto. L’opposto di rubare è abbandonare, allontanare un animale dal proprio ambiente abituale non per appropriarsene, ma per… abbandonarlo.

Questo comportamento illecito è piuttosto recente ed è ovviamente una costola del nostro stile di vita, accelerato e dedito al consumo. Mai nessuno ha sentito parlare di galline ovaiole e mucche da latte abbandonate in autostrada, con una ciotola d’acqua e un cartello appeso al collo. Certo che no.

Infatti l’abbandono degli animali è un fenomeno legato esclusivamente agli animali da compagnia: cani, gatti, conigli, tartarughine, pesci rossi. Quando negli anni Settanta le strade cittadine si riempirono improvvisamente in estate di cani e gatti abbandonati, scoprimmo il lato oscuro del boom economico: il cucciolo comprato a Natale, ad agosto era già troppo cresciuto.

Gli amministratori cittadini si dovettero quindi ispirare alle nostre tradizioni agropastorali, all’abigeato e alla marcatura degli animali, quando pensarono che anche i cani andavano identificati, proprio come le mucche e i cavalli, ma per il motivo opposto. Non per contrastarne il furto, ma l’abbandono. Così nacque l’anagrafe canina. Dapprima su base volontaria, poi rapidamente obbligatoria per tutti i cani e ora anche per i gatti. Io stessa all’inizio del 2000, laureata praticamente da pochi minuti, dovetti marcare bei cuccioli di cane che avevano l’unica colpa di appartenere a qualcuno.

All’inizio si usava una terribile pinza ad aghi e successivamente un moderno strumento per tatuaggi. Tatuavo il numero assegnatomi dal Comune sull’interno coscia del cagnolino, adeguatamente anestetizzato e poi medicato con un pochino di amore e tanta pomata anestetica. 

Ora abbiamo i microchip e i nanochip. Nati vent’anni fa come strumento di dissuasione dall’abbandonare il proprio animale, trovano ora un impiego celestiale: ritrovare il cane smarrito al parco, restituire al proprietario il gatto caduto dal balcone, rintracciare per telefono la persona che sta impazzendo per ritrovare il proprio animale perduto. 

Abbiamo così messo al riparo i nostri cani e i nostri gatti. Purtroppo oggi non si può sapere quanti uccellini, conigli, pesci rossi, tartarughe ancora vengano comprati e abbandonati. Ma ci stiamo lavorando, perché è sicuro: la percezione collettiva sta cambiando e ognuno di noi sa fare meglio di come eravamo.

Nicoletta Bevere
Nicoletta Bevere
Medico Veterinario
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Numero 01-2024

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