di Franz Forcolini
“Un sistema tentacolare nel quale una parte della classe politica, di dirigenti comunali, dell’imprenditoria e delle libere professioni, in una commistione di conflitto di interessi e mercimonio della funzione pubblica, prospera piegando a proprio uso le regole”.
Questa è la sintesi fatta dai magistrati milanesi della Procura e dal GIP nell’indagine da loro avviata e convalidata sulla politica urbanistica praticata da diversi anni a Milano.
L’aspetto che più colpisce in ciò che è emerso negli ultimi mesi dall’inchiesta della magistratura sulla politica urbanistica dell’amministrazione Sala, è la subordinazione di chi avrebbe dovuto, applicando le leggi, dirigere lo sviluppo e la rigenerazione della città, agli interessi privati dei costruttori senza alcuna remora verso il proprio ruolo di pubblici decisori. E, come ha ben decritto Salvatore Settis, è avvenuto “un totale capovolgimento delle ragioni della pianificazione. A dettare le regole era l’interesse privato dei pochi speculatori edilizi, e non quello di tutti i cittadini che il Comune dovrebbe far proprio”.
Ma ancora più impressionante è la quantificazione del danno che la politica di “attrattività” praticata nei confronti della finanza internazionale ha provocato alle casse pubbliche in termini di risorse disponibili da investire per affrontare un giusto ed equilibrato intervento che soddisfacesse i reali bisogni soprattutto dei cittadini più fragili economicamente, ma anche dell’intera comunità. Sono stati calcolati circa due miliardi di mancati introiti che avrebbero potuto far uscire Milano da quella “emergenza abitativa” che dura da decenni e sicuramente migliorare la qualità di servizi come i trasporti, gli asili nido, le piscine, il verde urbano, ecc., che la cittadinanza ha visibilmente visto peggiorare negli ultimi anni.
Senza addentrarsi in calcoli complessi, per altro messi in evidenza sia dalla Procura di Milano che nelle inchieste giornalistiche, basta ripercorrere e confrontare il tema degli oneri di urbanizzazione che il Comune di Milano ha applicato negli ultimi quindici anni come esempio di quanto successo.
Segnalavo in un articolo precedente, che mentre in Europa la media di incidenza sul valore del costruito era, per gli oneri dovuti dai costruttori, circa il 20%, a Milano, sino a meno di due anni fa consisteva in un 4% che è stato aumentato all’8% in concomitanza dell’avvio dell’inchiesta della Procura di Milano. Ma a termini di legge dal 2007 al 2023 Milano avrebbe dovuto, con cadenza triennale, secondo una legge regionale, adeguare gli oneri all’inflazione, cosa che non è avvenuta con un mancato incasso calcolato in 107 milioni. A fronte di tutto ciò, l’imbroglio di costruire nuovi edifici chiamandoli ristrutturazioni con il metodo dell’ormai famosa Scia, ha portato gli unici oneri pagati ad una riduzione ulteriore del 60%.
Più attrattiva di così Milano non poteva essere per costruttori e/o speculatori immobiliari. Ora, da parte della maggioranza che sostiene la giunta Sala a Palazzo Marino, si afferma la necessità di un cambiamento della politica sin qui seguita per adeguare gli interventi ai bisogni reali che l’analisi della condizione abitativa attuale a Milano, da loro stessi fatta nell’ultimo periodo, metteva in evidenza.
In una più dettagliata analisi fatta dal Sicet, sindacato inquilini, risultano infatti attualmente 76.373 le famiglie che hanno fatto domanda per case popolari negli ultimi cinque bandi, a fronte di 2.567 assegnazioni, quindi circa 74.000 famiglie sono ancora in attesa. Contemporaneamente, risultano 17.675 appartamenti sfitti di cui 6.091 di proprietà del Comune e 11.584 della Regione. Questo per quanto riguarda gli alloggi pubblici. Riguardo la proprietà privata, risultano da recenti dati ISTAT non affittati circa 110mila alloggi di cui 20mila utilizzati permanentemente per affitti brevi turistici e 90mila lasciati vuoti.
“Materia prima” su cui intervenire, come si vede, non manca in città, quella che è mancata è stata la volontà politica di intervenire per convogliare tutte le risorse disponibili e soprattutto raccoglierne di nuove per il soddisfacimento di un bisogno primario come la casa per buona parte dei cittadini.
Questo deciso cambiamento invocato è già stato indicato da tempo da comitati ed associazioni con proposte concrete e attuabili come:
• Recupero del patrimonio pubblico abitativo sia comunale che di Aler.
• Controllo rigoroso sull’applicazione della norma del PGT per la destinazione del 40% di alloggi a edilizia residenziale sociale a canone moderato su quanto costruito o ristrutturato dai 5.000 mq in su.
• Regolamentare lo sfitto privato, sull’esempio di Barcellona, con norme che incentivino e/o sanzionino la proprietà che mantiene vuoti gli appartamenti e istituendo un fondo pubblico che la garantisce dalla morosità incolpevole sempre più ampia anche nel ceto medio.
• Avviare una battaglia seria e decisa sul piano nazionale per regolamentare e limitare gli affitti brevi turistici e abolire l’anacronistica tassa IMU sul patrimonio abitativo pubblico che a tutt’oggi sottrae ai gestori oltre 100 milioni di euro all’anno.
• Recuperare, grazie anche all’intervento della Magistratura, quanto non versato dai costruttori e adeguare da subito gli oneri di urbanizzazione alla media europea del 20% convogliando le risorse in un piano casa d’immediato intervento sul patrimonio abitativo pubblico.
Un primo segnale di cambiamento positivo, seppur non ancora realizzato, è venuto ultimamente dalla mozione approvata dal Consiglio Comunale per bloccare la svendita a privati di oltre 200 alloggi del Comune in viale Lombardia, di cui più della metà attualmente vuoti. La denuncia e la pressione fatta dal comitato Abitare in via Padova, nei confronti dell’amministrazione, ritengo sia stata decisiva e speriamo che il tutto si realizzi, risanando e rendendo disponibili gli appartamenti per chi ne ha bisogno a canone sociale.
È quindi necessaria una profonda revisione del Piano di governo del territorio laddove si pensava di proporre come unico intervento risolutore la costruzione di 10mila appartamenti di edilizia residenziale sociale a canone moderato, nei prossimi dieci anni.
Misura in chiara evidenza del tutto insufficiente e comunque sempre affidata all’operatore privato. Una regia pubblica tesa a correggere quanto, a volte anche illegalmente, concesso alla speculazione privata non può che diventare di stringente priorità per l’attuale maggioranza di Palazzo Marino. Il cambiamento deve essere profondo, reale e realizzato.
Ai magistrati il loro lavoro, ai politici e agli amministratori il compito di ripristinare legalità e avviare provvedimenti che garantiscano un fondamentale diritto come quello della casa e dell’abitare per tutti.




