Durante questa rovente estate, non potendo spostarmi da Milano per vari motivi, ho deciso di riordinare un po’ la casa e, tra i tanti libri che dovevo decidere se tenere, buttare oppure regalare, mi è capitato tra le mani un vecchio sussidiario scolastico degli anni ‘60 del secolo scorso. Si intitola Progresso – Sussidiario per le scuole post elementari, Franco Raiteri Editore – Milano, uscito nel 1960.
È ancora improntato ai programmi d’insegnamento approvati nel 1955, noti come programmi Ermini, dal nome del ministro democristiano che li firmò. Allora la scuola non era ancora suddivisa nel modo che conosciamo oggi, ma si articolava in 3 cicli: primo ciclo 2 anni, secondo ciclo 3 anni, terzo ciclo 3 anni. Quest’ultimo prevedeva due opzioni: la scuola media o l’avviamento professionale. Solo il 31 dicembre 1962, dopo lunghe trattative fra DC e PSI, venne approvata la legge 1859, che prevedeva l’abolizione della scuola di Avviamento al lavoro e la costituzione di una sola tipologia di scuola media unificata che permettesse l’accesso a tutte le scuole superiori.
Il tempo pieno invece venne introdotto negli anni Settanta come risposta ai bisogni sociali dell’utenza, ma era principalmente destinato ad essere un laboratorio di innovazione e non, come troppo spesso accade oggi, una sorta di baby sitter statale a cui affidare i figli durante le giornate lavorative. Ma questa è un’altra storia e c’entra poco con quello che mi premeva dire.
Torniamo allora al nostro sussidiario. Non è proprio dei miei anni, ma sicuramente ho ritrovato moltissime delle cose che imparai dalla maestra delle elementari, che voglio ricordare per l’amore che ancora le porto: Celestina Riva Dettamanti. Era materna, giusta e comprensiva, senza essere “amica” o farsi dare del tu inutilmente.
Da lei e dai sussidiari, ho imparato cose indispensabili, come l’educazione civica, o le più elementari regole igieniche, o anche l’educazione stradale, che tanti adulti sembrano aver dimenticato. Insomma nelle 250 pagine del sussidiario, un ragazzino che avesse appena concluso le elementari poteva imparare come è formato lo Stato italiano: le regioni, le province, i comuni; i diritti e i doveri dei cittadini stralciati dalla Costituzione, rudimenti di zootecnia, di botanica, di tecnologia delle costruzioni, fino addirittura a come si compila un vaglia postale o un assegno bancario. Oltre naturalmente a tutti quegli elementi di italiano, storia, geografia, matematica e geometria, che sono alla base di qualsiasi altra conoscenza.
Mi è venuto allora da pensare che, se ogni cittadino italiano avesse le conoscenze di base presenti in questo sussidiario, il nostro sarebbe un Paese di gran lunga migliore.
Quindi cosa è successo? Davvero le innumerevoli riforme scolastiche che si sono succedute sono state effettivamente migliorative? Siamo sicuri che un bambino che esce oggi dalle elementari sappia com’è formata la Repubblica in cui vive? O è in grado di interpretare i segnali stradali, oppure conosce i suoi diritti e i suoi doveri di bambino innanzitutto e di futuro cittadino?
Ho sempre pensato che la scuola non la fanno le riforme, o i muri intonacati di fresco o, tanto per infierire, i banchi con le rotelle, ma le persone; in primis gli insegnanti che, se è vero che sono sottopagati, (guadagnano poco più di un bidello) risultano, secondo il Global Teacher Status Index, che valuta la reputazione sociale dei docenti del ciclo primario e secondario in 35 Paesi, anche ultimi in Europa e terzultimi nel campione totale. È facile fare del qualunquismo, ma di fronte a questi dati un problema dev’esserci. Forse, come diceva Dante, non abbiamo capito che per costruire un mondo migliore, si deve partire dal rinnovamento di se stessi e di ciascun individuo, per uscire dalla “selva oscura” di questo mondo “che mal vive”.