di Piera Maria Marini
2 giugno 1946: è il giorno del referendum istituzionale da cui uscirà la forma di governo del nostro Paese; si dovrà decidere se resterà la monarchia o diventerà una repubblica ed eleggere i componenti l’Assemblea Costituente.
È il momento storico in cui gli italiani sceglieranno se essere sudditi o cittadini. In quella data l’Italia diventa repubblicana. È solo l’inizio di un percorso lungo e faticoso finalizzato alla ricostruzione del Paese, distrutto da una guerra che lo ha spaccato in due parti, non solo fisicamente ma anche moralmente, un Paese rimasto senza guida perché il re ha abdicato a favore del figlio, il principe Umberto, ed è fuggito in Egitto. Dopo il referendum, che segnerà la decadenza della sua carica, anche Umberto lascerà il Paese per l’esilio in Portogallo. Occorre ora un passo indietro per analizzare come si è arrivati all’Assemblea Costituente, che avrà il preciso compito di varare la Costituzione della Repubblica.
Nel gennaio del 1944, quando l’Italia del Nord è ancora occupata dai tedeschi e infuria la lotta partigiana, un gruppo di uomini provenienti da varie regioni, di diversa estrazione sociale e fede politica, intellettuali e uomini di pensiero, tra cui personalità come Benedetto Croce, Vincenzo Arangio Ruiz, Giuseppe Laterza, si riunisce in congresso a Bari per mettere a fuoco la situazione e prefigurare il futuro. Constatato che le condizioni sono drammatiche, decide che occorrerà prevedere un referendum sulla forma di governo (monarchia o repubblica) e la convocazione di una Assemblea Costituente, che disegni l’Italia futura.
Sono anni difficili in cui si passa dal governo militare, instaurato dal Re dopo la caduta del fascismo, ai governi del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). I Congressisti riuniti a Bari si impegnano, attraverso la costituzione e l’azione di un governo rappresentativo dei partiti antifascisti, a “predisporre, con garanzia di imparzialità e libertà, la convocazione dell’Assemblea Costituente” Con questo evento inizia il percorso per il referendum che porterà alla caduta della monarchia e alla Costituzione repubblicana.
“Quel 2 giugno, quando, in una cabina di legno povero, mi ritrovai con in mano un lapis e due schede, confesso che mi mancò il cuore”
Al referendum vanno alle urne anche le donne, alle quali è stato riconosciuto il diritto di voto con decreto legislativo luogotenenziale del 1° febbraio 1945 n.23. Il 2 giugno il numero delle votanti supererà quello degli uomini. Maria Bellonci, scrittrice e ideatrice del Premio Letterario Strega, così testimonia la sua emozione: “Quel 2 giugno, quando, in una cabina di legno povero, mi ritrovai con in mano un lapis e due schede, confesso che mi mancò il cuore”.
E Tina Anselmi scriverà: “Le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vie le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è sempre stato un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschi fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica”.
Il risultato del voto è di grande equilibrio e decreta il successo dei tre grandi partiti di massa, Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e Partito Comunista. I deputati eletti a far parte dell’Assemblea Costituente sono 556 e sono passati alla storia come “i padri costituenti”. Ma delle donne non si hanno molte notizie. Eppure ci sono state 21 “madri costituenti”. Chi sono?
Le loro storie personali partono da lontano. Alcune di esse hanno già vissuto la prima guerra mondiale, periodo tragico in cui le donne hanno dimostrato la loro forza, sostituendosi agli uomini mandati al fronte in ogni tipo di attività, dai campi alle fabbriche, dall’assistenza negli ospedali (anche quelli da campo vicini alla prima linea), alla guida di camion e tram. Alla fine della guerra i sopravvissuti riprendono il loro lavoro e le donne rientrano in un anonimato per molte sofferto, in quanto hanno dato prova di non essere da meno degli uomini e vogliono il loro posto nella società.
Il fascismo, che nel frattempo ha preso il potere, non recepisce l’evoluzione della donna in Europa e negli Stati Uniti ma la discrimina, mantenendola in una condizione di inferiorità che la vede solo impegnata nella procreazione e nella cura dei figli, che costituiranno la forza futura del Paese. Nel 1942 la riforma del Codice Civile attribuisce al marito il ruolo di capo della famiglia, che tutto può fare senza il consenso della moglie. La donna è totalmente subordinata al coniuge. Non parliamo del delitto d’onore, una vergogna che, nonostante la Costituzione, si è protratta fino agli anni ’80. A quel tempo ci separavano anni luce da Paesi come la Francia, dove Olympe de Gouges, vissuta durante la rivoluzione francese, pubblica nel 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui afferma l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. Salendo sul patibolo per essere ghigliottinata per motivi politici, dichiara: “come la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere altresì il diritto di salire alle più alte cariche”.
Durante il regime fascista molte donne si adattano o fingono adattamento allo stato di subordinazione in cui sono state ricacciate, ma ce ne sono anche altre che si affidano ai partiti politici per rivendicare non solo i propri diritti ma anche quelli negati a tutti gli italiani. Il regime reagisce: 748 donne processate nel ventennio per crimini politici dal Tribunale speciale e circa 500 condannate, senza contare le leggi razziali.
La Resistenza è il banco di prova finale: coinvolge “circa 75.000 donne delle quali 35.000 in organico alle formazioni partigiane”, ma diventano più numerose se si contano quelle che fiancheggiano i gruppi partigiani. “Oltre 4.500 le donne arrestate dai nazifascisti, torturate e condannate, 623 fucilate o cadute in combattimento (19 decorate con Medaglia d’Oro al Valor Militare)” Quando scoppia la seconda guerra mondiale molte donne partecipano alla Resistenza con diversi ruoli, dalla lotta armata alla resistenza civile, dalla comunicazione all’assistenza, al trasporto anche di armi, a funzioni di stampa, di proselitismo, al collegamento con gruppi partigiani (le staffette), tutte attività poco pubblicizzate ma che, una volta scoperte, sono pagate con violenze personali e con la vita.
Nel 1944 le donne fanno parte del Comitato di Liberazione Nazionale attraverso i movimenti femminili. Tra i primi obiettivi posti c’è quello del riconoscimento del diritto di voto. Con questo riconoscimento, che discende dalla partecipazione alla Resistenza, le donne diventano cittadine a pieno titolo, anche se il percorso per parificarle agli uomini sarà lungo e tormentato; un cambiamento culturale di tale portata ha dovuto essere metabolizzato nel tempo e gli stereotipi legati al ruolo della donna nella società non sono del tutto cancellati. Insomma, non è stato ancora del tutto frantumato il famoso “soffitto di cristallo” che frena le donne nell’accesso a carriere elevate.
Comunque la Resistenza ha creato le condizioni per la nascita della Repubblica e della Costituzione e ha fatto sì che 21 donne fossero elette nell’Assemblea Costituente. Una percentuale molto bassa rispetto agli uomini e un trattamento ancora gregario perché risulta che a molte sia stato chiesto di firmare “dimissioni in bianco” per lasciare il posto a un uomo, nel caso si presentasse la necessità.
Le 21 “madri della Costituzione” appartengono a diversi partiti politici: nove alla Democrazia Cristiana, nove al Partito Comunista Italiano, due al Partito Socialista, diventato PSIUP nel 1943 a seguito di fusione con il Movimento di Unità Proletaria per riprendere nel 1947 il nome originario, e una all’Uomo Qualunque, movimento antipartitico fondato da Guglielmo Giannini, giornalista e drammaturgo.
È giusto che si sappiano i loro nomi: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici Agamben, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana, Maria Nicotra Verzotto, Ottavia Penna Buscemi, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.
Sono donne entrate con coraggio nell’agone politico senza l’esperienza maturata dagli uomini; hanno ben compreso, però, di trovarsi nel momento giusto e nella sede giusta per costruire l’Italia democratica, che prevede per loro la conquista dei diritti civili e politici, l’uguaglianza nel lavoro e nella società. Indicheremo di seguito solo il profilo di alcune Costituenti, non avendo spazio sufficiente per descrivere la formazione e le azioni di tutte.
Adele Bei
Terza di 11 figli di un boscaiolo, nasce nell’attuale provincia di Pesaro Urbino nel 1904. Studia fino alla terza elementare, considerato già un privilegio a quel tempo per le bambine del suo ceto. Poi il lavoro a dieci anni. Sulla tessera parlamentare è indicata, come professione, quella di “sindacalista”. Attiva nella CGIL organizza le tabacchine in sindacato autonomo. Questo in anni recenti, alla fine della guerra, ma prima lavora in fabbrica, vive il periodo dell’occupazione delle fabbriche nel biennio rosso (1919-20).
Espatria clandestinamente col marito e vive tra Belgio, Francia e Lussemburgo. Rientra in Italia, sperando di essere stata dimenticata dai fascisti ma la polizia segreta li ritrova e il Tribunale speciale, nel 1933,le infligge 18 anni di carcere, poi il confino, mentre il marito finisce al campo di concentramento nazista di Buchenwald e ne esce alienato. Rientra a Roma nel 1944, ancora in clandestinità, entra nei gruppi comunisti di difesa della donna, sostiene le donne romane nell’assalto ai forni (il pane scarseggiava). Viene designata ad entrare nella Costituente nelle file del PCI, sostiene i mezzadri nell’imminenza di una nuova regolamentazione della mezzadria, si oppone al Governo che intende sopprimere il Ministero dell’assistenza post-bellica suddividendolo tra i vari Ministeri. Importante presa di posizione della Bei, che si unisce a numerosi Costituenti comunisti, per chiedere che nella Costituzione venga inserito uno specifico riferimento al diritto della donna di entrare in Magistratura.
Bianca Bianchi
Nata nel Mugello nel 1914 perde il padre, fabbro socialista, quando ha solo sette anni. Aiutata dai nonni riesce ad arrivare all’Università e si laurea in Filosofia e Pedagogia. Insegna nelle scuole pubbliche nell’entroterra genovese ma viene trasferita d’ufficio a Cremona perché i contenuti delle sue lezioni non piacciono ai dirigenti del partito fascista locale. Anche a Cremona viene segnalata al Provveditore agli Studi per aver stimolato uno studente ad esprimere con libertà le proprie opinioni e invitata a chiedere di insegnare all’estero. Bianca accetta e si trasferisce a Sofia in Bulgaria. Ritorna in Italia dopo l’8 settembre 1943 e si impegna nell’assistenza agli uomini e alle donne impegnate nella Resistenza, ai senza tetto per colpa della guerra e agli ebrei braccati dai nazifascisti. Si gioca la vita impegnandosi nel trasporto di armi da una sede all’altra, caricate su un carro coperto di fieno, travestita da contadina. Nel 1945 si iscrive al PSIUP. Entra ufficialmente in politica come consigliere comunale a Firenze e alle elezioni per l’Assemblea costituente, dove si trova in lista con Sandro Pertini, raccogliendo un numero di voti molto importante, che non la sottrae alla richiesta, da parte del Partito di firmare un impegno a dimettersi se si fosse presentata la necessità di cedere il passo a un candidato uomo. Ricorda al Governo l’impegno nei confronti delle riforme sociali, si occupa di pensioni, di scuola non solo come istituzione ma anche per le persone e come fucina e custodia dell’identità nazionale. Sostiene che il Governo deve porre un freno alla proliferazione degli istituti scolastici privati; si occupa del trattamento degli insegnanti, chiede che venga ripristinato per loro lo stato giuridico conquistato nel 1902 e perduto col fascismo. Senza questa volontà di riforma della scuola nei suoi ordinamenti e nella ricostruzione delle coscienze e degli stipendi degli insegnanti fallirebbe la creazione dei futuri cittadini democratici e non verrebbe preservato “il patrimonio di cultura sana, di idee giuste, di verità e libertà, …un valore spirituale che costituisce l’identità della nostra nazione”. Bianca Bianchi è stata anche una apprezzata scrittrice.
Iaura Bianchini
Nata a Brescia nel 1903 da famiglia di modeste origini che riesce, con molte difficoltà a farla studiare fino alla laurea in Filosofia e Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, diventa una figura di spicco nel panorama politico all’epoca della Costituente. Ha un fare da vecchio alpino, che discende anche dalla voce e dal fisico potente, ereditato dalla militanza, come partigiana, nelle “Fiamme Verdi”, gruppo di formazioni cattoliche che avevano preso il nome da un reparto d’assalto del 3° Corpo d’Armata italiano nella prima guerra mondiale.
Laura Bianchini
È cattolica e si forma nel mondo cattolico bresciano, diventa esponente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e poi del Movimento Laureati Cattolici, sostiene un progetto fondato sulla centralità della persona umana e sulla dottrina sociale ispirata al superamento della contrapposizione storica tra capitalismo e comunismo. A Brescia insegna, prima nella scuola elementare, poi nell’Istituto Magistrale e, da ultimo, presso il Liceo classico (docente di Storia e Filosofia). Allo scoppio della seconda guerra mondiale Laura Bianchini ospita nella propria casa le prime riunioni del CNL. Poco prima della caduta del fascismo nel luglio del 1943, si tiene, al monastero dei Camaldoli, un convegno partecipato dai migliori intellettuali cattolici, nel corso del quale prende forma un nuovo partito politico che si ispira al Partito Popolare di Don Sturzo, nato nel 1919 e stroncato da Mussolini nel 1926: la Democrazia Cristiana. Bianchini rischia l’arresto da parte della polizia fascista, subito ricostituitasi dopo l’8 settembre 1943, ma, prevedendolo, fugge a Milano e si nasconde in un convento femminile. Si occupa della propaganda, ma milita anche nelle formazioni partigiane armate e presta assistenza gli ebrei ancora in Italia, accompagnandoli in Svizzera attraverso i sentieri impervi frequentati dai contrabbandieri. Dopo la guerra ritorna alla scuola ma è diventata un personaggio politico di cui la DC non può fare a meno. Ed è sempre presente nei dibattiti che devono definire l’assetto futuro del Paese attraverso la Costituzione, quando si parla di famiglia e di matrimonio, di istruzione professionale, di sequestro della stampa. È una lottatrice la Bianchini e lo dimostrerà anche votando contro i propri compagni di partito.
Elisabetta Conci
Nata a Trento nel 1895, è figlia di un avvocato irredentista, guida sicura di italianità per i giovani dell’epoca. Elisabetta si diploma in pianoforte e, contemporaneamente, frequenta il Liceo a Innsbruck presso le Orsoline. Nel triennio 1915/18 si iscrive alla facoltà di Filosofia dell’Università di Vienna. Dopo la guerra si sposta all’Università di Roma, dove si laurea in lettere. Fa parte della FUCI, diventando presidente della sezione romana, ed è anche attivista dell’Azione Cattolica. Insegna il tedesco per 15 anni. Alla fine della seconda guerra entra nella Democrazia Cristiana e, nel 1946, viene eletta prima delegata al congresso nazionale DC e poi deputata all’Assemblea Costituente. Nell’ambito della Costituzione si occupa degli Statuti speciali, chiede al Governo di sollecitare Il rimpatrio dei prigionieri di guerra allogeni dell’Alto Adige, che devono essere considerati cittadini italiani in base ad un accordo amichevole firmato tra De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco, difende i pensionati delle sue terre, danneggiati dalla guerra e si batte per l’aumento delle pensioni agli infortunati sul lavoro. Associata ad un compagno di partito riesce a far inserire nell’art. 41 (poi art. 44) della Costituzione l’impegno dello Stato a emanare provvedimenti in favore delle zone montane e provvidenze a favore dei comprensori di bonifica. Dalle pagine dei giornali su cui scrive emerge il suo impegno politico che sostiene fino alla fine dei suoi giorni.
Filomena Delli Castelli
Nasce in provincia di Pescara nel 1916 da famiglia modestissima e si diploma maestra, titolo che le consente di lavorare da subito. Sogna di potersi mantenere da sola a Milano per frequentare all’Università cattolica la facoltà di Magistero, unica possibile col suo titolo di studio. Ottiene un incarico alla scuola elementare di Sesto Calende, si laurea mantiene la cattedra alle elementari perché, alle superiori, sarebbe precaria in quanto priva di abilitazione professionale. Si impegna nell’Azione Cattolica e entra nella FUCI, partecipa alla lotta di Liberazione da crocerossina. La militanza nella FUCI la proietta in politica, nella Democrazia Cristiana. La nomina a dirigente del Movimento femminile DC a Pescara la porta poi alla Costituente. Viene infatti chiamata a Roma dalla Direzione centrale suo partito, che la fa diventare una delle nove democristiane dell’Assemblea costituente.
Nadia Gallico Spano
Nasce nel 1916 a Tunisi, allora sotto il protettorato francese, dove si trova la sua famiglia. Viene iscritta al Liceo di Tunisi e poi alla Facoltà di Farmacia (come la madre) dell’Università di Roma, dove si trova immersa in un mare di camicie nere e gagliardetti. Cresciuta in un contesto antifascista, mal sopporta l’atmosfera romana e decide di iscriversi ad una Università francese, tornando a Tunisi per preparare la documentazione relativa. A Tunisi incontra un giovane funzionario del Partito Comunista e lo sposa nel 1940. Viene inviata in Sardegna con il ruolo di ispettrice del PCI femminile. Per l’ottimo lavoro svolto le viene affidato, nel settembre 1945, un posto di riguardo nell’organizzazione femminile centrale del partito, che lei sviluppa in una forte azione di “educazione civica”, impegnandosi in tutti i settori della convivenza civile. Insieme alla collega Cingolani della DC si impegna a fondo per portare alle urne le donne, in parte indifferenti al problema o preoccupate di irritare i mariti, che temono di perdere il dominio sulla moglie. Entra all’Assemblea costituente e, tra l’altro, si impegna con forza perché non venga inserita nella Costituzione la parola “indissolubile” quando si parla di matrimonio (e non viene inserita). Se fosse stata scritta sarebbe stato poi impossibile varare successivamente la legge sul divorzio. Rilevante, inoltre, è l’impegno della Gallico nel dibattito sull’accesso della donna in magistratura.
Per saperne di più:
E. Bettinelli, La Costituzione della Repubblica Italiana, edizioni BUR
Nicola D’Amico e Cristina D’Amico, Le ventuno tessitrici della Costituzione, edizioni Franco Angeli
(Dal libro di N. e C. D’Amico, ricco di notizie e riferimenti, abbiamo estratto dati e profili delle 21 Costituenti)