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Da 20 anni la Carità è di Casa in via Brambilla

di Valentina Rigoldi

Era il 24 novembre 2004 quando al numero 10 di via Francesco Brambilla apriva le sue porte la Casa della Carità, nata due anni prima per volere del cardinale Carlo Maria Martini. Grazie al lascito dell’imprenditore Angelo Abriani, cui la Fondazione è intitolata, quella che era una scuola abbandonata venne trasformata in un luogo di accoglienza. La nascita della Fondazione è stata possibile anche grazie al Comune di Milano, guidato dal sindaco Gabriele Albertini, con un importante contributo economico che permise l’avvio delle attività.

20 anni fa, a dare il via alle attività sociali della Casa c’erano il cardinal Martini e il cardinale Dionigi Tettamanzi, allora arcivescovo. In quell’occasione Martini commentò l’episodio biblico delle Querce di Mamre, dove Abramo lascia il suo riposo per accogliere, insieme alla moglie Sara, degli stranieri giunti alla sua tenda nell’ora più calda del giorno. Senza esitare Abramo e Sara offrono cibo e ospitalità e mentre danno con gioia, ricevono la promessa di un figlio. “L’accoglienza è feconda, l’apertura all’altro genera futuro”, questo l’insegnamento che Martini ha lasciato alla Casa.

Tettamanzi parlò invece del buon samaritano, focalizzandosi sulla figura del locandiere che tutti dimenticano, cui il samaritano, affidandogli il malcapitato, dice semplicemente: “Abbi cura di lui”. Quest’immagine ha segnato il cammino della Casa, perché essere locanda significa essere una casa concreta e operosa, dove prendersi cura significa innanzitutto riconoscere la dignità della persona.

Dal 2004 la Casa della Carità ospita ogni giorno centinaia di persone in difficoltà, italiane e straniere: bambine e bambini con le loro mamme, donne e uomini fragili, famiglie in condizioni di precarietà socio-economica o emergenza abitativa, anziani soli. A quanti non è possibile accogliere, sono offerti servizi fondamentali quali ascolto, tutela legale, cure mediche e psichiatriche, docce e guardaroba.

«Sono stati 20 anni straordinari, nei quali siamo riusciti a far fronte a tante emergenze, dai rom sgomberati dai campi alla presa in carico, durante il Covid, di chi non poteva essere assistito dal servizio sanitario, fino alla recente accoglienza dei profughi afghani e ucraini. Lo abbiamo fatto cercando sempre di dare corpo al mandato di Martini: non essere soltanto un’organizzazione capace di gestire l’accoglienza e l’aiuto ai più fragili, ma una realtà che pensa, che si fa interrogare e che guarda alla città dalla prospettiva dei poveri», afferma don Virginio Colmegna, presidente onorario della Fondazione.

Per il futuro, il presidente don Paolo Selmi vede una Casa che continua a promuovere una cultura di cittadinanza responsabile: «Questo significa che essere cittadini non implichi un privilegio che spinge a discriminare chi non lo è o chi lo è in condizioni di degrado, ma spinga a un desiderio ancora più grande di convivenza pacifica, dove i diritti sono riconosciuti a tutti, i doveri sollecitati a tutti, le gioie condivise e non egoisticamente trattenute». E conclude: «Auspico anche che lo stile della Casa della Carità di Milano, dove accoglienza e cultura non sono disgiunte, sia uno stimolo per le tante iniziative simili che stanno nascendo».

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