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«Il segreto è trovare soddisfazione in ogni cosa che fai»

A colloquio con il grande talento Maurizio Nichetti

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Maurizio Nichetti, laurea in architettura poi pubblicitario, mimo, sceneggiatore, regista, attore, produttore, docente universitario, è un grande talento dalle mille sfaccettature, poliedrico, presente sulla scena italiana e internazionale con film di assoluta originalità. Ne citiamo alcuni: Ratataplan, Ladri di saponette, Volere volare.

È stato sceneggiatore di cartoni animati per Bruno Bozzetto e per numerosi suoi film; fondatore e direttore per cinque anni di Quelli di Grock. Ha raccolto grandi consensi di pubblico e di critica, ottenendo premi internazionali di grande prestigio. È nato a Milano e vive da molti anni in Zona 2.

Dove ha girato i suoi film?

Tutti i miei film li ho girati in zona 2. La scuola dove ho girato L’una e l’altra, era in fondo a viale Sarca, dove c’era la Breda; Ladri di saponette, dove lui attraversava la strada, era girato in via del Progresso. Proprio in questa via c’è il cancello dove ho girato nel 1988 una scena che doveva sembrare del 1945. Nel 2018 quel cancello è ancora così, il cortile all’interno è sempre come allora. Via del Progresso è ferma al 1945. È un aneddoto inquietante! 

Come ha trovato le risorse finanziarie per realizzare i suoi film?

I miei film erano piuttosto eccentrici. Per realizzare Volere volare ci ho impiegato 10 anni a trovare i soldi. Quando sono andato negli Stati Uniti a presentarlo e mi hanno chiesto quanto era costato, sono rimasti allibiti, perché mi hanno detto che avevo speso per un film quanto loro avevano speso per i titoli di testa di Roger Rabbit. Facevo, quindi, concorrenza a livello mondiale a un’industria che spendeva dieci, cento volte di più.

Ho avuto il miglior produttore italiano che si potesse avere, Franco Cristaldi, grazie a lui ho venduto Ratataplan in tutto il mondo come film muto. Poi ho girato Ho fatto splash e non è stato sottotitolato, per questo non ha registrato vendite adeguate. Per vendere i miei film all’estero, ho aspettato 10 anni per uscire con Ladri di saponette, l’ho prodotto io, ho fatto i sottotitoli a mie spese, sono andato a venderlo all’estero personalmente e così ha avuto successo e riconoscimenti internazionali.  L’autore italiano che vende all’estero è sempre stata un’eccezione. 

È ancora possibile oggi girare film eccentrici come quelli da lei realizzati nel recente passato?

Oggi, con le tecnologie che riducono i costi, non c’è bisogno della pellicola. Sono molto aumentate le documentazioni della realtà, si sono abbattute le fantasie, i film eccentrici e la gente si è abituata a vedere la televisione, le fiction realistiche. Diciamo che il fotoromanzo di una volta è diventata la fiction televisiva. Oggi il film curioso non si fa più perché è scomparso il regista originale: la macchina televisiva ha inghiottito tutto.

Oggi ci sono altre dinamiche produttive e distributive: il lavoro è molto stressante, competitivo, bisogna avere la grinta per difendere quello che fai. Lo sforzo per essere originale non ha pagato. Io l’ho fatto per me perché mi piaceva, mi divertivo. Forse è giusto che dopo 20 o 30 anni uno faccia altre cose. Ora mi trovo benissimo nella scuola.

Tra le diverse e numerose attività artistiche e professionali da lei svolte, quale le ha dato più emozioni?

Più visibilità me l’ha data la televisione, più soddisfazione i film, perché avere l’idea di un film in testa e riuscire a realizzarlo è una soddisfazione. L’ho visto proprio nel gennaio scorso a un festival  in India, a Pune, dove ero in giuria e ogni giurato doveva presentare un suo film. Ho proposto Ratataplan ed è stato bello vedere che il pubblico in sala, un migliaio di giovani indiani, ha capito e ha riso.  

Queste sono soddisfazioni che non mi dà nessun altro lavoro. Ancora oggi ne parlo con un certo entusiasmo. Il segreto è trovare soddisfazione in ogni cosa che fai. 

Parliamo del suo lavoro attuale: direttore artistico del Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano

Il Centro sperimentale di Cinematografia è la scuola di cinema per eccellenza; è  stata fondata negli anni ‘30 sull’onda del fascismo. Le prime due scuole del genere al mondo sono nate a Roma e a Mosca;  tutte le dittature hanno bisogno di un veicolo di propaganda politica come il cinema, sia Mussolini sia Stalin lo avevano capito.

Nel Centro di Milano si insegna pubblicità e cinema d’impresa: spieghiamo ai ragazzi a raccontare con le immagini i contenuti di comunicazione aziendale o di comunicazione sociale. Dentro  il cinema d’impresa c’è tutto quello che non è cinema d’autore; l’autore fa quello che sente di fare. Ubbidire a un committente che vuole un certo lavoro è un concetto estremamente nuovo per il cinema italiano. 

Noi insegniamo ai ragazzi questi principi: se vuoi vivere di questo mestiere e lavorare, devi conoscere tre cose: spendere poco, soddisfare il cliente ed essere veloce. Abbiamo cominciato così 5 anni fa; quando sono nate le macchine che possono anche fare i filmati oltre alle foto digitali. Noi ci siamo preparati per tempo a definire un profilo professionale diverso, che non limita il regista a dire “ciak azione”, ma che, preveda di portare le valigie, accendere le luci, ecc. Insisto sul fatto che i ragazzi devono saper fare tutto quello che si fa sul set, devono imparare cinque mestieri. Alla fine vanno in giro al massimo in tre: ci vuole uno bravo a curare la parte tecnica, le macchine, le luci; un altro deve occuparsi dei numeri rispettando il budget e lavorando sui costi per essere competitivi; un terzo deve saper parlare col cliente e fare le pubbliche relazioni. Devono comunque essere intercambiabili, mentre prima il lavoro si distribuiva. 

In questo mi sto facendo coinvolgere sempre di più: è una bella mission, del resto  se non facessi questo, non sarei aggiornato sulle tecnologie, sui linguaggi, su quello che il mercato chiede. 

A Milano c’è ancora quel tessuto sociale accogliente anche per chi non ha molto?

Nel dopoguerra la Milano che io ho conosciuto era già una città di immigrati. La figura del “terroncello” di Abatantuono, che parla milanese con l’accento meridionale, rappresentava la realtà. Il bello di Milano era che uno diventava  milanese perché viveva qui. Milano non è mai stata razzista, se uno lavorava onestamente e si integrava poteva diventare capo d’azienda. L’imprenditoria milanese nasceva dal basso e integrare una persona che valeva e farla lavorare, era considerato un arricchimento per la società. 

Io sono nato a Milano, mia madre era di origini marchigiane. Non esiste un milanese della mia generazione che sia milanese purosangue, salvo le antiche famiglie. È una città che a me ha dato mille opportunità, ho trovato la pubblicità, Bruno Bozzetto, il Piccolo Teatro, il teatro, la televisione. Il mio primo lavoro retribuito è stata la scrittura delle favole per Topo Gigio. Tutto questo perché ero a Milano.

È vero che oggi siamo più mischiati, abbiamo più stranieri, abbiamo più differenze culturali, ma non dimentichiamo che Milano è sempre stata la città dell’accoglienza e ne ha fatto una risorsa. Oggi questi discorsi non sono molto popolari, perché oggettivamente la quantità dei problemi è più vasta, culture diverse, religioni diverse, in un contesto internazionale dove è cresciuta l’ansia sociale, l’insicurezza.

Non basta fare il buonista, bisogna capire la paura delle persone, però più ne parliamo, più si supera la paura. Più ci chiudiamo a casa nostra e meno ne parliamo, più avremo paura. Di questo sono sicuro.

Per chiudere le chiedo una dichiarazione d’amore per zona 2

Al di là delle parole, la mia più grande dichiarazione d’amore a zona 2 è dimostrata dal fatto che tutti i miei film li ho girati qui, salvo qualche puntata fuori area per Ratataplan con le scene sulla montagnetta di san Siro (trasferta in montagna!) e poi  sul ponte di ferro di Porta Genova. Quando ho girato Ho fatto splash sono andato in trasferta (marina) all’Idroscalo, ma mi sentivo già fuori città.

In questa zona ho sempre trovato la tipologia massima di architetture di varie epoche, le case di ringhiera, i grattacieli (anche se non c’era ancora Gae Aulenti), le vie anni ’40, le villette anni ‘30, la Maggiolina, le case popolari, i funghi di via Lepanto.

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