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Inchiesta sui decanati del Municipio 2

Nuove aperture per conoscersi e comunicare insieme

Qual è la funzione presente e futura dei decanati ecclesiastici in generale e nelle due realtà del Municipio 2? Abbiamo cercato una risposta risalendo alla fonte, intervistando i protagonisti di questa nuova prospettiva, ancora poco conosciuta dai fedeli del mondo cattolico.

Carlo Azzimonti, Vicario episcopale per la città di Milano
Carlo Azzimonti, Vicario episcopale per la città di Milano

Intervista a monsignor Carlo Azzimonti, Vicario episcopale per la città di Milano

Nuove aperture per conoscersi e comunicare insieme

Nell’ambito della Diocesi esiste il Consiglio Episcopale milanese, presieduto dall’arcivescovo Delpini e costituito, oltre che dal vicario generale monsignor Agnesi, da 7 vicari episcopali, ognuno per ciascuna delle zone pastorali in cui è divisa la Diocesi, e 6 vicari episcopali di settore, che sovrintendono altrettante aree di attività diocesane. Abbiamo intervistato monsignor Carlo Azzimonti, che presiede i 12 decanati in cui è suddiviso il Comune di Milano, per fare luce sul significato e sulla dinamica operativa dei decanati.

Quali sono le finalità del Decanato?

Il decanato è l’articolazione territoriale della diocesi, che raggruppa un certo numero di parrocchie tra loro vicine, coordinate al fine di favorire la cura pastorale attraverso un’azione comune. Le finalità principali sono tre: 1) la comunione fra le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali presenti sul suo territorio; 2) un’azione pastorale comune, che dia alle parrocchie un dinamismo missionario: rapporti con gli insegnanti e la scuola, pastorale del lavoro, pastorale della sanità sul territorio, pastorale ecumenica, relazioni con le istituzioni sociali e di assistenza; 3) luogo di fraternità e di formazione permanente per i sacerdoti e i diaconi.   

Quale può essere l’efficacia del Decanato?

Data la complessità delle problematiche del territorio e quindi la necessità di dover disporre di molteplici competenze per affrontare i diversi e crescenti bisogni delle persone del nostro tempo, occorre da una parte valorizzare il ruolo dei laici, che spesso sono portatori di conoscenze e capacità preziose e d’altra parte possono allargare lo sguardo del punto di vista della parrocchia. Il decanato può costituire uno strumento importante affinché la vita delle parrocchie si estenda ad un nuovo tipo di missione, aprendo nuove collaborazioni con le associazioni del volontariato, confrontandosi con le situazioni circostanti, sempre attraverso lo sguardo della fede.   

Quali azioni sono state introdotte su piano operativo?

Dopo il Concilio, la Chiesa ha ripensato la sua articolazione territoriale. La diocesi di Milano è suddivisa in sette macroaree, denominate zone pastorali, di cui la prima è costituita dalla Città di Milano. Ogni zona pastorale è coordinata da un vicario episcopale ed è suddivisa in decanati: attualmente a Milano ce ne sono dodici.

Vogliamo stabilire delle alleanze con le istituzioni attraverso i decanati, innanzi tutto con il Comune di Milano, in particolare con i suoi nove Municipi, in modo da rendere più fecondo il dialogo tra la Chiesa e il principale ente pubblico locale. Vogliamo favorire l’evangelizzazione nei mondi vitali del territorio: gli ospedali, le scuole, il mondo del lavoro e così via.

È stato istituito anche il Consiglio pastorale decanale, quale luogo in cui le diverse comunità parrocchiali, le commissioni e i gruppi di lavoro, l’Azione Cattolica e le altre realtà ecclesiali del territorio, possano essere coordinate nell’azione pastorale al fine di renderla sempre più unitaria ed efficace. 

Come spiega il calo della partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose?

Questo è vero, ma guardiamo l’aspetto sociologico: siamo un paese invecchiato con rilevante calo demografico. Milano è l’espressione eclatante: siamo passati da circa 1.600.000 abitanti degli anni ‘60-‘70 del boom economico a circa 1.400.000 abitanti del periodo attuale, di cui circa 400mila immigrati, senza i quali saremmo intorno a 1.000.000. Nel periodo ‘60-’70 l’incremento della popolazione era stato determinato sia dall’immigrazione di un elevato numero di meridionali, sia dal considerevole livello di nuove nascite. Questi i dati sociologici, dentro i quali c’è anche un calo oggettivo di frequenze alle messe domenicali, vuol dire una riduzione dei cristiani, almeno di quelli che si dichiarano tali. La partecipazione alla messa domenicale è uno degli indici. Noi cerchiamo di reagire, valutando la situazione non sulla base dei numeri, ma sulla qualità: siamo cento o dieci non importa, l’importante che quei cento o dieci siano consapevoli che la fede è un dono e una gioia. Annunciare agli altri questo messaggio noi lo chiamiamo missione, evangelizzazione, perché è bello essere cristiani, in quanto sia gli aspetti positivi che negativi della nostra vita vengono affrontati con uno spirito diverso da chi non ha fede. 

Nel passato gli oratori parrocchiali erano un luogo di ritrovo molto frequentato e comunque c’era uno sforzo di tipo educativo, che, anche sul piano civile e sociale, aveva un peso importante. Adesso gli oratori si sono svuotati…

Se ci sono molti meno ragazzi è chiaro che questo incide anche sugli oratori e poi diciamo che, fino agli anni ‘50, l’oratorio era l’unico elemento aggregativo. Adesso c’è un’esplosione di alternative. Pensiamo alla diffusione del cinema, utilizzato come strumento pastorale dalle parrocchie nate negli anni ’50-’60, le quali avevano in gran parte il cinema-teatro. Oggi la frequentazione del cinema è largamente ridotta: chi è attratto dal cinema se lo guarda sul telefonino. Questo solo per fare un esempio. Inoltre, tanti teatri-cinema, costruiti negli anni ‘60 e ’70, non sono più a norma. Oggi le normative richiedono investimenti molto significativi che andrebbero fatti dalle parrocchie, che però non hanno più le risorse.

A seguito della crisi di vocazioni e del conseguente calo del numero dei preti, bisogna che la comunità cristiana adulta esprima altri educatori e animatori che vogliano impegnarsi. Si può realizzare integrando figure diverse: il prete se c’è, la suora se c’è, dei laici, tra cui anche educatori professionali competenti, si prendano cura di un progetto di animazione, basato ovviamente anche sull’educazione alla fede, poi su attività formative di altro tipo. Adesso, per esempio, abbiamo tanti doposcuola che sono nelle parrocchie e che accompagnano i ragazzi, per lo più figli di immigrati che devono apprendere l’italiano. Questa è una bella risposta a un tema forte e delicato come quello dell’integrazione.

Se volesse lanciare un messaggio ai lettori per sviluppare un dialogo e una collaborazione tra parrocchie e cittadini del Municipio 2, quali argomenti tratterebbe?

Innanzi tutto proviamo a conoscerci, apriamo le porte reciprocamente per incontrarci, e raccontarci ciò che facciamo nei diversi ambiti. Non è facile riuscire a stabilire un contatto interpersonale, un coinvolgimento anche con le persone disponibili. Io noto che in città ci sono tantissime opere di bene, tantissime realtà positive, ma non ci si conosce reciprocamente e quindi non si sviluppano sinergie feconde. Bisogna imparare a conoscersi e ad apprezzarsi per lavorare insieme, per comunicare e sviluppare nuova progettualità. Quindi, si può costituire una rete che sempre di più deve curare il servizio alla persona, che per noi cristiani parte ovviamente dalla motivazione della fede.


don Gabriele Spinelli, Decano di Turro
don Gabriele Spinelli, Decano di Turro

Intervista a don Gabriele Spinelli, Decano di Turro

Lo sviluppo del decanato per l’integrazione tra le parrocchie

Il decanato di Turro, il principale del Municipio 2, è retto da don Gabriele Spinelli, parroco di San Giuseppe dei Morenti. Il suo incarico di decano dura 5 anni. In questo territorio vivono circa 109mila abitanti, distribuiti nelle aree delle 12 parrocchie, mentre risulterebbero presenti circa 115 gruppi associativi di varia natura. Don Gabriele mi accoglie affabilmente nel suo studio e partecipa all’intervista con vivaci e interessanti notazioni che rendono piacevole il nostro incontro, di cui riferisco una sintesi.  

Quali sono le attività del Decanato di Turro sul territorio?

Il Decanato di Turro coordina la vita spirituale e pastorale di 12 parrocchie in comunione con lo spirito ecclesiale, promuovendo attività a favore della comunità dei propri fedeli. Sono numerosi gli esempi di condivisione di iniziative tra le diverse chiese. Si possono organizzare insieme un unico ritiro spirituale, iniziative dell’oratorio estivo e tornei di calcio oratoriani, programmi di catechesi, attività per la terza età, gruppi della Caritas, un’organica distribuzione dell’orario delle messe tra le diverse chiese. Ogni parrocchia può continuare a fare le sue attività autonomamente, ma è importante saperlo, perché comunque è fondamentale collaborare insieme.

Qual è la funzione del Decano?

Ci sono degli incontri almeno una volta al mese, per iniziativa del decano, con tutti i parroci delle 12 chiese del decanato. Nell’ultimo incontro, per esempio, abbiamo discusso su come saranno le parrocchie tra 10 anni. Ci siamo chiesti se ogni parrocchia potrà avere ancora l’oratorio estivo, la Caritas, le Acli, le varie associazioni oppure dovremo ragionare secondo una visione plurale, distribuendo le singole attività tra le varie chiese. Un altro esempio riguarda il prossimo arrivo della Quaresima; abbiamo deciso di ritrovarci una mattina con tutti i preti del decanato per pregare insieme, tanto più che il tema di riflessione per quest’anno è la preghiera. Una volta al mese i dodici Decani della città di Milano partecipano a una riunione con il Vicario episcopale, monsignor Azzimonti, per organizzare la vita spirituale delle parrocchie milanesi. Facciamo un esempio. In occasione della Quaresima è stato proposto di fare gli esercizi spirituali, a livello cittadino, nella parrocchia di Santa Maria del Rosario, in via Solari. 

Quanti sono i preti del decanato di Turro?

Sono poco più di venti; su dodici parrocchie i parroci sono otto, ciò vuol dire che qualche parroco segue più di una parrocchia e questo sarà un tema che dovremo approfondire. Salvo i quattro sacerdoti, tra 35 e i 44 anni, che seguono altrettanti oratori, gli altri preti hanno un’età superiore. Nelle parrocchie dove non c’è un parroco titolare, in quanto aggregate ad altra parrocchia, si cerca di sviluppare le relative Comunità pastorali. È importante, però, che ogni singola parrocchia sul piano istituzionale non perda la sua identità, restando comunque in comunione con gli altri consigli pastorali.  

La presenza dei migranti è attiva nella vita del decanato?

Per quanto riguarda la nostra parrocchia la frequenza dei migranti alla messa festiva è stata stimata a circa un terzo dei presenti. Nel nostro consiglio pastorale ci sono tre persone di nazionalità straniera: uno dello Sri Lanka, un eritreo e uno dell’America Latina. Sono stranieri, ma vivono in Italia, i loro figli conoscono solo l’italiano, si tratta di persone bene inserite nel contesto sociale. La prevalenza etnica nella nostra parrocchia registra un buon numero di migranti provenienti dallo Sri Lanka, dalle Filippine, dall’America latina. Verso piazzale Loreto credo che il numero dell’America latina sia molto più ampio.

Quale può essere la previsione sul futuro dei decanati nei prossimi 5 anni?

Il decanato secondo me si consoliderà. Se adesso ci sono dodici parrocchie, io penso che tra 5-10 anni le parrocchie resteranno dodici, mentre i parroci dagli attuali otto potrebbero ridursi a quattro. Si ridurranno anche gli oratori. Molte attività attualmente nelle singole parrocchie (Caritas, la prima comunione, la cresima, il battesimo, il funerale, la festa della famiglia, la festa del Carnevale, i ritiri spirituali, ecc) saranno necessariamente concentrate in poche chiese. Per questo, ciascuno di noi deve essere disposto a cambiare. Viviamo oggi un’epoca di cambiamenti; bisogna essere capaci di fare un salto di mentalità e di cultura, al di là del proprio campanile, pensando al “noi” della Chiesa e dell’umanità. In questo senso le attività come la Caritas, l’oratorio e tutte le altre devono essere pensate al plurale.


Padre Luca Zanchi, Decano di Niguarda-Zara
Padre Luca Zanchi, Decano di Niguarda-Zara

Intervista a Padre Luca Zanchi, Decano di Niguarda-Zara

La fraternità salverà la Chiesa 

Come è recepito, secondo il suo punto di vista, il concetto di decanato da parte della comunità dei fedeli?

Gran parte delle persone identifica il suo luogo religioso esclusivamente nella propria parrocchia e non ha un’idea chiara sul decanato. Stiamo cercando di far passare l’idea del decanato come una grande famiglia, dove ogni parrocchia e ogni comunità pastorale mantengono la loro identità, anche perché c’è tutto uno storico che non si può cancellare d’improvviso. Alcune nuove iniziative cominciano a facilitare la comprensione del concetto di decanato. Quindi non solo attività Caritas, ma anche, per esempio, una commissione missionaria decanale, un gruppo giovani decanale, ecc. Nel prossimo futuro il decanato si imporrà anche per il fatto che il numero dei credenti si ridurrà ancora; già oggi abbiamo subìto un taglio a causa della pandemia che non è stato totalmente recuperato. Decanato, nella mia idea di decano, è quella di immaginarlo, come ho già detto, una grande famiglia non semplicemente una struttura formale, anche se non è facile far passare questo pensiero.

Avete elaborato una mappatura dei principali connotati presenti nel territorio del vostro decanato?

In ogni decanato è previsto il cosiddetto “Gruppo Barnaba”, funzionale alla costituzione dell’assemblea sinodale decanale.  Nel nostro caso questo organismo ha avuto il pregio di avere fatto una mappatura del territorio. È stato un lavoro molto interessante ed ha individuato quattro settori significativi: l’area della carità, l’area della scuola, l’area della sanità, l’area della Chiesa dalle genti, fondamentale per tutte le persone che vivono ormai stabilmente qui, ma provengono da tutte le parti del mondo. Questo organismo di corresponsabilità pastorale, attraverso il costante monitoraggio, dovrebbe orientare verso quali scelte fare, su quali priorità investire, su quali fragilità dedicare maggiore attenzione, che saranno l’oggetto della futura assemblea sinodale decanale. Il gruppo Barnaba è composto, oltre che dal decano, da un rappresentante di ogni parrocchia, da un moderatore, che nel nostro caso è una laica, Gisella Seregni, e da un segretario.

Quali sono i dati più interessanti emersi dalla mappatura?

Nel fare questa fotografia dell’esistente abbiamo visto chiaramente le grandi ricchezze presenti nel nostro decanato a livello di persone e di istituzioni. Nel mondo della scuola abbiamo l’Università della Bicocca, dei grossi plessi scolastici come per esempio in via Melchiorre Gioia/via Copernico il grande complesso con parrocchia dei Salesiani, l’istituto di Maria Consolatrice, la sede delle suore di via Timavo, la scuola parrocchiale di Pratocentenaro, più le 43 realtà pubbliche statali. Nel settore della sanità abbiamo il grande complesso ospedaliero di Niguarda, la clinica S. Pio X, il CTO, ed altre realtà.                                                                                                                                                                           Va ricordato che quattro parrocchie del nostro decanato sono affidate a delle congregazioni di  religiosi: sant’Angela Merici ai Sacramentini; Sant’Agostino ai Salesiani; San Giovanni Evangelista ai Pavoniani; San Carlo alla Cà Granda al movimento di San Carlo legato a C.L. Abbiamo nel nostro territorio il Refettorio Ambrosiano, che si trova nella parrocchia di San Martino in Greco; l’Emporio della Solidarietà di Niguarda per nuclei familiari in condizione di difficoltà, dove le persone fanno la spesa nel limite di un budget attribuitogli con una tessera dalla Caritas Ambrosiana; la Casa Véronique, situata nei pressi dell’Ospedale di Niguarda e legata alla parrocchia di san Carlo, che è un luogo di accoglienza per i familiari dei malati ricoverati presso l’ospedale o per gli stessi malati sottoposti a terapie, e che si avvale del contributo di alcuni volontari della parrocchia.

Può indicarmi alcune iniziative significative realizzate nel suo decanato?

Le faccio alcuni esempi. Di recente nella scuola parrocchiale di Pratocentenaro si è svolto un incontro sul tema della scuola, aperto a tutto il decanato. Abbiamo degli incontri programmati e dedicati sia al mondo della carità, sia a quello delle missioni, che vanno avanti ormai da tempo e sono ben consolidati. Esiste l’intenzione di far nascere tanti altri gruppi, per esempio sta nascendo, sulla scia dell’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco, un gruppo “Laudato sì” che ha promosso un incontro in cui è stato visionato un film proprio sul tema delle urgenze nei confronti della natura. Una bella, quanto inattesa iniziativa è partita da un gruppo di giovani impegnati in politica di varie estrazioni partitiche, che ci hanno chiesto semplicemente di essere accompagnati nel loro cammino di fede, anche perché sono tutti credenti e praticanti. Si sono rivolti al decano di Affori e al sottoscritto per il decanato Niguarda-Zara. Sono impegnati nei Consigli dei Municipi 9 e 2. Abbiamo già fatto 4/5 incontri molto interessanti e attualmente stiamo affrontando alcune suggestioni che vengono dall’enciclica “Evangelii gaudium”, nella quale papa Francesco chiede una Chiesa missionaria con le porte aperte.  

Quali azioni ritiene importanti per limitare la riduzione della frequenza dei fedeli nelle chiese?

Io sono convinto che, sia come preti sia come laici, l’importante sia seminare bene per ottenere persone consapevoli e mature nella fede. Peraltro nella nostra realtà parrocchiale di Sant’Angela la frequenza è molto buona; ma anche nelle altre parrocchie del decanato la presenza dei fedeli è di buon livello. È fondamentale vivere bene la fraternità tra noi preti e i laici, perché, secondo me, questa è un’altra grande sfida e sono convinto che la fraternità salverà la Chiesa, nel senso che lo stare insieme da fratelli permette una vera crescita comune. Si deve cominciare a immaginare una pastorale di insieme. Nel nostro decanato ci sono già tre Comunità pastorali e questo sarà il futuro.

Qual è l’attenzione verso i giovani?

C’è una pastorale giovanile coordinata dal vice parroco di San Martino di Niguarda, don Andrea Damiani, e della commissione fanno parte tutti i sacerdoti incaricati di pastorale giovanile e alcuni laici, perché crediamo nella responsabilità condivisa per creare sinergie che potenziano l’attività del decanato. Abbiamo, tra l’altro, una bella realtà nella parrocchia di S. Giovanni Battista alla Bicocca, dove la referente è una laica, Francesca, molto brava. Questo dimostra che non è detto che debba essere sempre un prete che cura l’animazione della pastorale giovanile, può essere anche un educatore laico.

Come viene affrontato il problema dei migranti?

Il problema dei migranti esiste: ogni parrocchia cura molto l’accoglienza, ha il suo centro di ascolto o c’è la San Vincenzo, dove non c’è solo un aiuto materiale, ma anche un sostegno morale. Durante la pandemia questo ha permesso a tante famiglie di ricevere degli aiuti, grazie alla carità dei fedeli ambrosiani. La maggior parte delle persone che vengono al centro d’ascolto sono comunque migranti, anche se ultimamente abbiamo aiutato diverse famiglie italiane in difficoltà. Grazie alla mappatura del gruppo Barnaba ci siamo confrontati nel capire come darci una linea operativa comune e grazie ai diversi centri d’ascolto e alle Caritas parrocchiali abbiamo imparato molto. 

Se dovesse immaginare da qui a 5 anni il futuro del decanato come lo prevede?

Favorire al massimo la collaborazione tra le parrocchie perché non solo si ridurrà il numero dei preti, ma diventerà sempre più necessario condividere progetti, iniziative, azioni sul territorio al di là della singola parrocchia: il futuro è insieme! Sarà, quindi, importante favorire relazioni personali tra il decano e i singoli preti e dei preti tra di loro, improntate a una fraterna amicizia attraverso incontri periodici.

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