La storia del Naviglio “Piccolo”

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di Edo Bricchetti

“La storia della nostra regione è essenzialmente una storia di acque, di canali navigabili, irrigui, scolmatori, di rogge”. Così si esprimeva Carlo Cattaneo nel 1844 e ne aveva ben donde dal momento che gli “inzenieri” lombardi seppero imbrigliare le acque dei fiumi e farle convergere su Milano nonostante il difetto fisico della città di essere “in mezzo a terre… ai piedi di monti inòspiti”.

Ben 140 chilometri di canali s’irradiavano attorno al capoluogo milanese e il Naviglio Martesana era uno di questi. Veniva chiamato anche “Naviglio Piccolo” non perché fosse meno importante, ma solamente per distinguerlo dal Naviglio Grande. Furono i milanesi a volerlo fortemente, durante il periodo della Signoria Sforzesca per aprire una via, tutta interna al Ducato Milanese, verso le valli alpine, luoghi di approvvigionamento delle materie prime (pietre, sassi da calcina o di fabbrica, carbone, legna d’ardere o da opera, minerali ferrosi), e i mercati della seta e della lana della Repubblica Veneta e del “Contado” brianteo.

“Del Lago di Como è emissario l’Adda; sicché, volendo unirsi a questo, bisognava tirar un naviglio sino a quel fiume. Nel 1457, ducando Francesco Sforza, si costruì un canal dal castel di Trezzo alla città, e denominossi dalla Martesana, contado che traversa. Diressero i lavori l’ingegnere Bertoli di Novate e il commissario Rosino Piola”.

(Cesare Cantù, 1857)

Il Naviglio Martesana fu costruito in soli sei anni fra il 1457 e il 1463 assecondando la pendenza naturale del terreno e la linea di divisione delle “terre asciutte” a nord e le “terre irrigue” a sud del canale. Quando poi Lodovico il Moro ordinò nel 1496 l’allacciamento del Naviglio Martesana alla Fossa interna dei navigli milanesi, l’agognato disegno dei milanesi di portare le acque dell’Adda all’interno della città fu compiuto definitivamente. Erano 38,721 chilometri fra l’incile e il Tombone di S. Marco in Milano dove il naviglio terminava il suo corso prima d’immettersi nella Cerchia interna dei Navigli milanesi (oggi circonvallazione interna).

Fin da subito, però, la comunanza di scopi irrigui e di navigazione creò dei grossi problemi in quanto l’uso e la cessione delle acque per l’irrigazione era di forte ostacolo alla navigazione. Furono emanate regole speciali e ordinanze cui tutti erano vincolati e alla cui cura provvedevano i “Campari” (custodi delle acque) sotto la direzione del Magistrato delle acque. Lungo il naviglio transitarono intere flotte di barche che impiegavano da Lecco a Milano “ore 15 in tutto per correre metri 73,475… 8 erano consumate nel canal della Martesana)”. (C. Cantù). Una strada (alzaia) carreggiabile seguiva il naviglio in sponda sinistra perché i cavalli da tiro, ansimando sotto lo sforzo, potessero tirare a monte le “cobbie” di barconi: “A tal uopo le barche si uniscono in ‘cobbie’ fin di 10 o 13 secondo la piena, e vi si attaccano 10, o 21 cavalli”. (Cesare Cantù).

Oggi il naviglio serve solo scopi irrigui essendo la navigazione cancellata, di fatto, dalla costruzione di ponti a pelo raso, ma potrebbe essere ripresa tranquillamente con pochi interventi tecnici e urbanistici mirati. Le sue acque non muoveranno più le ruote idrauliche dei mulini, magli, filande, non daranno più lavoro a lavandaie, navaroli (barcaioli), campari, non animeranno più le “hostarie” dove sostavano i barcaroli e dove venivano affisse le “grida” di governo delle acque, ma certamente contribuiranno a ridare al paesaggio una dimensione ambientale più a misura d’uomo.

Fino al 1929 – 1930, quando i navigli milanesi furono interrati ad opera dell’Ufficio Tecnico Comunale, il naviglio scorreva a cielo aperto lungo la Cerchia interna dei navigli milanesi. Testimoni oculari ricordano ancora gli ultimi barconi solcare il Naviglio Martesana negli anni 1950 lungo via Melchiorre Gioia.

Oggi il naviglio si spegne tristemente al suo ingresso in città sotto il manto stradale di via Melchiorre Gioia, ma prima di scomparire lambisce ancora i borghi storici di Crescenzago, Gorla e Greco Milanese laddove fazzoletti di case rivierasche, sovrastate da invadenti moderni palazzi condominiali, lasciano ancora intravedere angoli di mondo evocativi come la Cassina de’ Pomm di Greco Milanese, il “Cantun Frecc” di via Tofane, la “Piccola Parigi” di Gorla, il ponte vecchio di Gorla con la sua “Piazza Commune” (oggi piazza dei Piccoli Martiri di Gorla), il borgo di via Berra e l’amena “Riviera” di Crescenzago. È un tratto urbano di naviglio, in perenne conflitto fra metropoli e periferia, che, però, riesce ancora ad ammaliare con i suoi scorci paesaggistici e a offrire più di un pretesto per godere di una passeggiata lungo la riva al riparo dal rumore del traffico, ritrovando momenti di riconciliazione con il lento incedere del tempo.