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Il futuro nasce dalla scuola

È inevitabile il declino del Paese se non si investe nell’istruzione.

di Fabio Cavalera, Consigliere Ordine Giornalisti Lombardia, Presidente Associazione Walter Tobagi per la formazione al giornalismo, master Università Statale


L’istruzione è la fotografia di un Paese. Ciò significa che se vogliamo analizzare le difficoltà della nostra società e del nostro sistema Italia da lì bisogna partire, dallo stato di salute dell’istituzione scuola.

La ragione è semplice: il presente e il futuro si sono sempre costruiti sulle fondamenta solide del sapere, sulla crescita culturale delle generazioni che saranno protagoniste nel mondo dell’economia, della scienza, delle tecnologie, del web e in generale delle relazioni globali. Il domani nasce dalle possibilità che regaliamo ai nostri figli di apprendere e di affrontare il mare aperto della vita con la sicurezza di una preparazione adeguata al tempo.

Si tratta di considerazioni che possono sembrare banali. Purtroppo la storia recente ci ha raccontato il contrario. Nell’agenda del fare, delle cose da fare, la scuola è stata lentamente ma continuamente declassata. Parole, tante parole. Promesse, tante promesse. Poi la inesorabile deriva verso il nulla. Oggi, con l’emergenza Covid, paghiamo le conseguenze di questo fallimento della classe dirigente italiana: anziché scommettere sull’universo scuola si è preferito tagliare le risorse e penalizzare i ragazzi, le famiglie, i docenti, il personale.

È stato compiuto un “delitto” perfetto dalle ricadute disastrose. Non ci credete? Diamo un’occhiata ai numeri. L’Italia è il fanalino di coda europeo nella percentuale di spesa pubblica destinata ogni anno all’istruzione: il 7,9% (circa 66 miliardi) contro il 9,3 della Germania, il 9,6 della Francia, l’11,3 del Regno Unito (i dati sono di Eurostat, ultimi disponibili riferiti al 2017 e ripresi pochi mesi fa dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica).

Nel 2009 eravamo al 9, in pratica a partire dalla decapitazione lineare decisa dall’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, noi abbiamo unicamente sforbiciato. Cifre che non cambiano, anzi peggiorano, se si fa riferimento alle statistiche dell’Ocse (con differenti metodologie di rilevamento): l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico ci attribuisce il 6,9% di spesa pubblica destinata alla istruzione. Siamo sempre in fondo nella classifica dei 36 paesi membri della stessa Ocse.

Uno Stato che non crede nella scuola è uno Stato in fallimento.

Prendiamo un diverso approccio e otterremo le stesse conclusioni: se il raffronto è con il Pil (prodotto interno lordo) la situazione resta da nazione sottosviluppata, l’Italia è quintultima (precede di poco Romania, Irlanda, Bulgaria e Slovacchia). Noi destiniamo alla istruzione il 3,8 del Pil contro il 4,6 della media nell’Unione Europea. Che paese è quello che non crede nell’istruzione?

In questi giorni i mass media titolano sulle mille incertezze relative all’avvio delle lezioni. Purtroppo è un’emergenza con cui conviviamo da tanto, è la “normalità” altro che emergenza, ora sì è aggravata dal peso delle precauzioni rese necessarie dal Covid e dalle loro ricadute sulla organizzazione della didattica. Ci sono serie criticità contingenti, legate al distanziamento, alla formazione a distanza, alle forniture dei banchi, ai test sierologici per i docenti, ai doppi turni. Nuovi disagi. Ma il fardello che pesa sull’istituzione scolastica è di antica data. Due esempi: la drammatica incapacità di coprire le cattedre (un ritornello), 60 mila quest’anno i buchi in organico, e la altrettanto drammatica situazione dell’edilizia scolastica di cui troppo poco si parla. È lo stesso ministero, il Miur, a darci l’immagine dello sfacelo: ci sono in Italia 40.160 edifici scolastici. Ebbene, più della metà (21.591) non hanno il certificato del collaudo statico obbligatorio per legge, solo 15.687 hanno la provata agibilità.

Ritornare in aula in sicurezza, osservando le regole anti pandemia, è giusto. Ma onestà impone di essere consapevoli che, Covid o non Covid, l’Italia non ha futuro se la sua classe dirigente non saprà correggere le distruttive politiche scolastiche degli ultimi decenni. O lo Stato investe sull’istruzione o viaggia verso il declino definitivo.