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Cosa ci aspetterà il prossimo anno?

Lo abbiamo chiesto agli “amici” di NOI zona 2.

di Davide Lopopolo

Chissà a cosa pensava Lucio Dalla quando nel 1978 ha composto L’anno che verrà, uno dei suoi pezzi più criptici e futuribili uscito nel 1979 all’interno dell’album Lucio Dalla (il più venduto di quell’anno). Possiamo certamente dire che è una canzone di speranza, la lettera che ognuno di noi vorrebbe scrivere agli amici più cari.

Una canzone così bella e profetica che potrebbe benissimo parlare dei tempi che stiamo vivendo, così strani e così drammatici. Come non pensare per e­sempio alla guerra in Ucraina ancora in corso, ascoltando i versi: Si esce poco la sera / compreso quando è festa / e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra? Anche la prima strofa: Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ / e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò, non fa che ricordarci la pandemia di Covid con i suoi lockdown e la voglia mista all’impotenza di non poter vedere i propri amici o i propri cari rimasti bloccati chissà dove.

E c’è anche la paura o l’inquietudine per un futuro che, al momento, non appare certamente roseo, quando sempre nella prima strofa canta: L’anno vecchio è finito ormai / ma qualcosa ancora qui non va. Perché anche lo scenario politico è quanto mai denso di punti di domanda e scarsa fiducia nel futuro. Basti pensare alle percentuali a doppia cifra che ha raggiunto l’astensionismo. Ma Lucio Dalla ci regala qualche nota di spe­ranza nella terza strofa: Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno / ogni Cristo scenderà dalla croce / e anche gli uccelli faranno ritorno / ci sarà da mangiare e luce (ma quanto ci costerà?) tutto l’anno. Mentre si augura, anche se forse sarà più difficile che si avveri ciò che ognuno di noi spera ormai da anni: E senza grandi disturbi qualcuno sparirà / saranno forse i troppo furbi / e i cretini di ogni età.

Una contemporaneità che, malgrado gli oltre trent’anni, diventa quasi profetica e non fa che avvalorare, come se ce ne fosse bisogno, la genialità di Dalla.

In realtà il testo de L’anno che verrà, oltre a narrare il mondo personale dell’autore, descrive la pesante atmosfera degli anni di piombo, del terrorismo rosso e nero e l’abitudine di autocensurarsi (e si sta senza pa­role per intere settimane) per la paura di esporre liberamente il proprio pensiero, sfiorando così anche la cancel culture e il politically correct che ormai stanno raggiungendo vette di ridicolaggine inimmaginabili. Ma, come è sempre stato nel suo sentire, con una gran­de speranza verso il futuro.

Anche a noi piacerebbe scrivere un testo come quello di Lucio Dalla per augurare un 2023 migliore degli anni appena passati, ma onestamente non ne siamo in grado. Ciò che possiamo fare, è chiedere agli amici che durante questi ultimi tempi ci hanno accompagnato lungo una strada difficile, a volte tenendoci per mano, altre dispensando un sano buon senso che spero possa aver aiutato i nostri lettori nei momenti più difficili e bui. Parlo di artisti come Vanni Cuoghi, Marco Casentini, Grazia Varisco. Scrittori e giornalisti come Mario Ge­rosa, musicisti come Fabio Treves, o registi e intellettuali come Bruno Bozzetto e Massimo De Vita e, perché no, anche comici come Teo Teocoli.

A loro, come abbiamo fatto nel numero di giugno 2020, nel pezzo intitolato Questi nostri giorni strani, abbiamo voluto porre qualche domanda riguardo a ciò che si aspettano o, quanto meno, si augurano possa cambiare (speriamo in meglio) nel prossimo anno. 

Mario Gerosa 

Giornalista e scrittore.

Uno dei pochi lati positivi di questi anni è stata, volenti o nolenti, l’e­splosione delle connessioni Internet, comprese le famigerate riunioni su zoom. Probabilmente il metaverso è fi­glio (oltre che di Second Life) anche del­la fuga dalla realtà rappresentata dai mon­di virtuali. Come pensi o ti auguri si svilupperà questa nuova tecnologia durante il prossimo anno? E quali i pericoli per i più giovani?

«Ultimamente si è parlato molto di metaverso. Si sente di nuovo un forte interesse per il virtuale, che periodicamente torna ad affacciarsi nella nostra quotidianità, portando ogni volta con sé gli stessi dubbi e gli stessi slanci entusiastici. Quindici anni fa c’è stata la prima grande stagione dei mondi virtuali, che in parte è coincisa con il fenomeno Second Life. Già allora c’erano grandi aspettative per questi mondi che in qualche misura raddoppiavano quello in cui viviamo: è stata una stagione pionieristica, in cui in ogni campo proliferavano le idee. Io stesso mi sono cimentato con diversi progetti, tra cui la prima agenzia di viaggi per tour nei mondi virtuali e la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico virtuale. Oggi, a distanza di anni, i progetti concepiti anni fa da chi credeva nella forza dei mondi virtuali hanno lasciato un segno, che non va cercato in qualche titolo sensazionalistico, ma, per esempio, nei saggi accademici. Infatti il percorso  del virtuale è lento e graduale, non ci si deve aspettare la novità a tutti i costi, subito e inaspettatamente, ma bisogna essere disposti ad aver pazienza. Il virtuale delude solo chi si aspetta soluzioni fantasmagoriche molto in anticipo sui tempi. Invece è necessario saper aspettare, cogliere i cambiamenti significativi, sapendo che ci vuole tempo. Oggi si parla molto di metaverso ed è un bene, perché è un tema dalle grandi potenzialità. Però non credo che tutto succederà così in fretta: si andrà avanti su una strada che finora è stata percorsa solo in minima parte. Nel frattempo è utile attrezzarsi, tenendo ben presente che il metaverso è solo il mezzo, e che fondamentali sono i contenuti con cui gli si dà vita.».

Grazia Varisco 

Artista e docente.

L’ultima volta che ci siamo incontrati, si era parlato anche dei tuoi ricordi durante la guerra. Avresti mai immaginato di doverne vedere un’altra a meno di duemila chilometri da noi? Cosa ti senti di auspicare o consigliare, specialmente ai più giovani, per il prossimo anno?

«È vero… i miei primi ricordi sono sensoriali e legati a rumori di colpi, sirene d’allarme e scalpiccio di calcinacci sotto le scarpe nel risalire le scale dal rifugio in cantina, avvolta in una coperta rosa, in braccio a una zia che nel frattempo mi calmava. Dalla finestra un cielo rosso di fuoco fra la Stazione Centrale e piazzale Loreto. Dopo lo sfollamento le sensazioni così negative si modificano e scoprono il bello anche nelle scenografie del percorso sconnesso fra le macerie della casa bombardata nella mia via.

Da tre anni siamo bombardati dal Coronavirus che, subdolo, cambia nome e ci cerca con insistenza lasciandoci provati e avviliti…

Da  nove mesi siamo stravolti dalla GUERRA… Siamo in guerra e il nostro grido di NO! NO!! è soffocato in un mio irrinunciabile tentativo in Arte che cerca la forma per gridare quasi eco del grido di Calamandrei: “Ora e Sempre Antiviolenza!”».

Massimo De Vita 

Regista e autore.

Il Teatro Officina ha appena compiuto 50 anni, anni difficili in cui è cresciuto attraverso una ricerca continua dei messaggi che, attraverso gli spettacoli, potevano giungere al suo pubblico. La pandemia ci ha costretti a cambiare abitudini e i teatri hanno sofferto di gravi problemi. Pensate che nel prossimo anno, ormai alle porte, il teatro dovrà trovare nuovi percorsi per colmare i vuoti creati dal recentissimo passato?

«Sono stati 50 anni pieni di progetti entusiasmanti, di spettacoli portati nei luoghi più insoliti, pensati a partire da un atteggiamento di ascolto e di restituzione alle molte comunità della Zona 2 e alla città intera. La pandemia  ha per fortuna pesato meno sulle nostre spalle rispetto ad altri teatri cittadini, in quanto non viviamo di biglietti venduti: sia­mo una compagnia che si occupa prevalentemente di teatro sociale, fondato su processi di coinvolgimento attivo del pubblico all’interno di un percorso di rigenerazione urbana, azioni per lo più sostenute da Bandi pubblici. Il prossimo anno continueremo su questa strada, che è la nostra mission, consapevoli che le nostre competenze rappresentano un capitale umano e professionale unico nel panorama cittadino. Riprenderemo anche la programmazione della stagione nella sala di via Sant’Erlembardo, affiancando al teatro alcune serate di musica, incontri con autori e scrittori, proiezioni cinematografiche.

Abbiamo in programmazione tre laboratori teatrali gratuiti per cittadini della zona 2 (bambini, anziani, persone fragili), in primavera un programma di camminate urbane in quartiere e infine il lancio del Museo immateriale della memoria di Gorla. E la prossima estate ci troverete ancora ogni domenica sul Naviglio Martesana con concerti e spettacoli teatrali».

Bruno Bozzetto

Animatore e disegnatore.

Tra i molti problemi che abbiamo avuto e continuiamo ad avere in questi ultimi anni, l’ecologia e la tutela degli animali rischiano di passare in secondo piano rispetto alle pandemie e alle guerre, ma probabilmente è il tema che condizionerà maggiormente il futuro. Cosa si augura e consiglia per fare in modo che durante il prossimo anno le cose possano cambiare?

«Penso che qualsiasi discorso che voglia parlare di miglioramento debba partire innanzitutto da noi. Siamo noi i responsabili di ogni cosa che avviene sul pianeta e riguardi l’ecologia, la natura e gli animali, e quindi siamo proprio noi i primi a doverci attivare nel tentativo di migliorare le cose

Siamo ormai 8 miliardi sul pianeta, e così come milioni di formiche riescono a costruire un formicaio, solo milioni di formiche possono disfarlo per rifarne uno nuovo. Le formiche siamo noi e il compito che ci spetta è di disfare poco a poco tutte le cose sbagliate che abbiamo creato nel tempo per rifarne di nuove e di migliori. Senza perciò entrare nello specifico, posso dire solo cose dettate dal mio buon senso. 

Parlando di ecologia, di natura e di animali, parto dalla cosa che mi sta più a cuore, gli animali, ben sapendo che nel mondo tutto è connesso e che modificare in meglio una cosa significa in qualche modo migliorare a cascata anche tutte le altre.

Quindi parto dal cibo, dai ristoranti e… dal nostro giro-vita. E parlando di animali dico solo una cifra rilevata dalla FAO: 80 miliardi. Perché questo è il terrificante numero di animali (pesci esclusi) che annualmente, e per ragioni esclusivamente alimentari, uccidiamo, o meglio, facciamo uccidere, ogni anno nel mondo. Se questa vi sembra una cosa normale e accettabile, non ho più nulla da aggiungere. Sono convinto che questa cosa possa esser considerata come il più grande crimine della storia dell’umanità! E noi ne siamo i mandanti.

Penso infatti che la presenza sul pianeta di circa 500 milioni tra vegetariani e vegani (dati Eurispes 2022) sia la dimostrazione più indiscutibile che si può vivere perfettamente senza consumare carne. La carne non è una necessità. Tra questi vegetariani e vegani ci sono infatti persone che eccellono in campo culturale e altri che primeggiano negli sport e conquistano medaglie d’oro alle olimpiadi (cito solo Mike Tyson, Carl Lewis, Martina Navratilova, Edwin Moses, le sorelle Williams… e mi fermo qui). A dimostrazione che senza carne non solo il cervello, ma anche il fisico funziona perfettamente e al massimo delle sue possibilità.

Quindi, quando dico che spetta a noi fare la prima mossa, questa è rappresentata dal sacrificio di eliminare la carne dalle nostre mense. E non lo dico solo per amore verso questi meravigliosi esseri senzienti, che chiedono solo di vivere, ma anche perché il grandissimo numero di allevamenti intensivi nel mondo, con l’enorme consumo di cereali e d’acqua che comportano e l’inquinamento ambientale che provocano, non contribuisce certo al benessere del pianeta. 

Mi fermo qui, anche se le cose da dire nel campo dell’ecologia sarebbero moltissime. 

Un passo per volta. Questo lo ritengo però il primo ed il più importante».

Vanni Cuoghi 

Artista e docente.

Questi ultimi anni sono stati quanto di più inaspettato, drammatico e strano ci potesse capitare. Secondo la tua sensibilità, quali sono i temi che auspichi vengano affrontati o che, quanto meno, speri che la coscienza collettiva si decida finalmente a comprendere?

«Non ho grandi aspettative per ciò che riguarda il genere umano, che preferisce delegare ad un deus ex machina la nostra salvezza. Pensare che, “andrà tutto bene”, non è servito a nulla. L’umanità alla fine della pandemia, ha pensato  bene di innescare addirittura una nuova guerra perché il dolore non era abbastanza…

Sono convinto, invece, che il cambiamento parta da noi e questa è una delle prime cose che ho imparato quando ho iniziato a dipingere e quando ho smesso di fumare. 

Non mi sento di parlare della direzione che prenderà la coscienza collettiva, ma posso invece dire che cosa farò io. 

E questa è la mia letterina di Natale.

La mia intenzione è quella di lavorare con una maggior coscienza sociale e politica, nel tentativo di migliorare la qualità della vita del maggior numero di persone, utilizzando gli strumenti che conosco meglio: la Pittura, l’Arte e la Narrazione.

Mi adopererò nel comunicare che la Cultura migliora la vita perché offre una visione più limpida della realtà, la condisce con l’immaginazione dando origine a delle visioni panoramiche più ampie. 

Non chiederò nulla a Babbo Natale, ma mi adopererò io per esserlo tutti i 365 giorni dell’anno, proprio come si raccomandava il mio Maestro Gianni Rodari nella poesia Lo Zampognaro».

Se comandasse lo zampognaro
che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.
Se comandasse il passero
che sulla neve zampetta
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso,
tutti i doni sognati,
più uno, per buon peso”.
Se comandasse il pastore

dal presepe di cartone
sai che legge farebbe
firmandola col lungo bastone?
“Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.
Sapete che cosa vi dico
io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
accadranno facilmente;
se ci diamo la mano
i miracoli si fanno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno.

Fabio Treves

Musicista.

Stiamo uscendo da un periodo in cui la musica ha aiutato a superare la paura e la solitudine regalandoci momenti di emozione, sollievo, serenità. Abbiamo avvertito la potenza della musica quando, in Ucraina, tante persone, seppur duramente colpite, sono riuscite, con una fisarmonica, a far dimenticare per un momento l’orrore della guerra.

Come vedi l’anno che verrà e che cosa potrà fare la musica per il futuro, più di quanto non abbia fatto fino ad oggi.

«La musica da sempre ha rappresentato una mano tesa per aiutare un amico a salvarsi dalle rapide del fiume, o una zattera per un naufrago o anche, e più spesso, una forza per credere in un domani meno buio e indifferente.  

Tra i tanti generi musicali il Blues, con le sue storie e i suoi cantori, ha narrato di come la musica sia servita nel tempo per affermare e divulgare valori essenziali, come i diritti di una persona, la solidarietà, l’amore per la natura e l’ambiente, la necessità di una convivenza civile in ogni parte della terra. 

La forza della musica, con un impegno trasversale di tutti noi, può allontanare e sconfiggere l’indifferenza, frutto di un’ignoranza diffusa. La musica, quella buona, quella che trasmette emozioni profonde, può dare in questo periodo storico, sociale e culturale un aiuto concreto per valorizzare e trasmettere autentici desideri di pace per un futuro migliore e più sostenibile. 

Il mio augurio per l’anno che verrà è quello che milioni di abitanti su questa terra dilaniata da odio, egoismo e ingiustizie abbiano nel cuore e nella mente un desiderio: migliorare la vita di tutti, cercando per prima cosa di migliorare noi stessi…».

Marco Casentini

Artista e docente.

Tu hai un occhio privilegiato sul mondo viaggiando molto spesso negli Stati Uniti. Come vedono dall’altra parte dell’oceano il futuro prossimo e cosa ti auguri possa cambiare o migliorare in Italia durante il 2023?

«Ho viaggiato spesso negli USA anche durante la pandemia. La situazione non era poi così diversa rispetto all’Italia, ristoranti con dehor, mascherine, camere negli alberghi da autogestirsi ecc. In quel periodo la polizia locale, da New York a Miami, aveva lasciato che gli homeless si impadronissero delle città, e così è stato… potevi vedere gli homeless accampati con tende sui marciapiedi delle eleganti vie centrali a Los Angeles, San Francisco, ovunque… Quello che è rimasto della pandemia sono i centri delle città svuotati dagli hotel, grandi magazzini, negozi molto importanti, chiusi chissà per quanto tempo. In Italia e più genericamente in Europa siamo stati in grado di riprenderci nonostante il rincaro delle materie prime e ora il caro energia che sta piegando l’Europa a enormi sacrifici. Noi europei abbiamo la forza del sacrificio quotidiano che fa sì che non ci arrendiamo mai. Abbiamo una guerra in corso nel cuore dell’Europa, una minaccia di guerra nucleare di cui sembra occuparsene più la politica che non i normali cittadini. Nel futuro diventeremo secondo me sempre più superficiali ed egoisti, almeno noi che abbiamo superato gli anta… I giovani, come sempre e come ci dicevano i nostri genitori, saranno il futuro e purtroppo dovranno cercare di rimediare a tutti i danni che la nostra generazione e quelle precedenti hanno procurato. Lo vedo in mia figlia, vegana, come tantissimi altri giovani, consapevoli della catastrofe soprattutto ambientale verso cui il mondo si sta avviando, un futuro in cui i giovani costruiranno un loro modello di mondo sostenibile dove la politica si occuperà di modelli socio ambientali e dove, finalmente, non esisteranno più corporazioni identificabili in coalizioni di destra e sinistra».

Teo Teocoli

Attore.

Un maestro della comicità, quale tu sei, ci ha dato tante volte serenità e sorriso, anche quando la situazione era profondamente triste. Forse potremo ora lasciarci alle spalle la pandemia e speriamo anche una guerra che è alle porte di casa. Tutti vorremmo che il 2023 ci portasse qualcosa di veramente nuovo, oltre alla gioia che ci meritiamo dopo tanta sofferenza. Ci racconti quali sono le cose che auspichi per te, e anche per tutti noi, dando per scontato l’utopistico desiderio della pace nel mondo? 

«Quello che auspico per me coincide con quello che vorrei per tutti.

Se facciamo una analisi, anche sommaria, dell’attuale situazione economica, sociale, ambientale, ci rendiamo conto di quanto si sia parlato e si parli, a livello europeo e mondiale, dei problemi che ci affliggono ma, al momento di agire, si tende a posporre le decisioni importanti.

Tutti vorremmo che i giovani e i giovanissimi di oggi potessero godere delle condizioni di vita della generazione nata dopo la guerra.

Tutti vorremmo che i più ricchi della terra cedessero una parte delle loro ricchezze ai più poveri della terra, che non si morisse più sotto una pioggia di missili ma si vivesse perché la pioggia, quella vera, rendesse la nostra terra produttiva e verde. E a proposito di terra, siamo al grande problema: si fanno riunioni a tutti i livelli ma, tra i Paesi che devono prendere decisioni importanti per il mondo, è difficile trovare un punto di incontro. Così si continua a tagliare gli alberi della foresta amazzonica, a inquinare terra e mare e a non fare tutto quello che potrebbe per dare una speranza di futuro ai bambini di oggi. Non c’è soluzione per salvare il mondo se non si provvede a salvare la natura. Chiedo troppo?».