di Edo Bricchetti
Le due ricorrenze dell’aggregazione del “Comune dei Corpi Santi” (1873) e dell’annessione dei “Comuni rurali” (1923) potrebbero essere un’utile occasione per riconsiderare la parabola urbanistica di Milano. Conoscere questa storia evolutiva, per alcuni involutiva, è di fondamentale importanza per puntualizzare i modi attraverso i quali si è formata la metropoli milanese. Il senso di queste due celebrazioni potrebbe essere, in fin dei conti, proprio questo: quello di fare un passo indietro e riconsiderare il cammino fatto perché a guardare qualche volta indietro si potrebbero imparare ancora molte cose.
Cosa si celebra?
Regio Decreto. n.1413, pubblicato l’8 giugno 1873
Regio Decreto n. 1912, pubblicato il 2 settembre 1923
Furono questi due decreti a segnare il volto urbanistico della Milano moderna anche se la strada verso l’annessione dei Corpi Santi (1873) e l’aggregazione dei Comuni Rurali (1923) non fu affatto lineare. La “Grande Milano”, o per lo meno quella che noi oggi percepiamo come tale, fu il risultato di trasformazioni srotolate fra il 1873 e il 1923, alle volte anche in modo contradditorio.
Se Milano, alla vigilia dell’Unità Italiana, portava in dote essenzialmente tre anime: il centro storico (intra moenia); il Comune dei Corpi Santi (un’area cuscinetto a scarsa densità abitativa e con molti terreni a “coltivo”, posta fra le mura spagnole e la campagna) e gli 11 Comuni rurali limitrofi (situati al di là del perimetro dei Corpi Santi) è anche vero che queste tre anime convivevano difficilmente fra loro. Poi quando Milano non dovette più rendere conto del proprio operato ai “forestieri” spagnoli, francesi, austriaci, iniziò un periodo di grandi trasformazioni spaziali e sociali avversate, però, dalle spinte corporative e campanilistiche delle passate amministrazioni che fiaccarono ora l’una ora l’altra fazione in gioco, complice anche gli attriti fra Comune centrale e Comuni limitrofi. Lo spirito accentratore della nuova economia industriale appiattì di fatto le aspirazioni di una Milano “bella da vedere”, sacrificandola sull’altare degli interessi edilizi e fiscali della nuova era. Il risultato fu un’espansione incondizionata dei confini amministrativi della città e la cancellazione, senza ripensamenti, dei tratti identitari dei sobborghi cittadini (extra moenia) e dei Comuni rurali (limitrofi).
Le tappe miliari della “Grande milano”
Nel corso del XVIII secolo, con l’istituzione del “Catasto Teresiano” austriaco (1776), furono inserite le proprietà fondiarie anche dei nobili e del clero che fino ad allora godevano dell’esenzione delle tasse sui propri fondi. Iniziò allora una lunga trattativa fra l’amministrazione regia, che spingeva verso l’autonomia municipale dei Corpi Santi, e l’aristocrazia fondiaria cittadina che vi si opponeva per tema di perdere i propri privilegi di casta. Con il “Progetto di riforma dell’amministrazione de’ Corpi Santi di Milano” emanato nel 1782, l’amministrazione austriaca forzò il campo sancendo l’autonomia del nuovo Comune dei Corpi Santi, separato giuridicamente e amministrativamente dalla città. Idealmente il Comune dei Santi riprendeva i vecchi “Sestieri medievali” in corrispondenza delle Porte d’accesso alla città: Porta Venezia, Porta Romana, Porta Vigentina, Porta Ticinese, Porta Vercellina, Porta Nuova. I “Corpi Santi” erano chiamati così perché era l’area al di fuori delle mura cittadine dove vennero sepolti i primi martiri cristiani e dove si continuarono a svolgere processioni religiose. C’era chi sosteneva che era per via anche dei vasti possedimenti della Curia vescovile.
Poi fu la volta della Repubblica Cisalpina (1797 – 1802) di Napoleone e del Decreto Vicereale (1808) con il quale si ordinava l’aggregazione dei Corpi Santi Milanesi e di altri 34 Comuni situati entro un raggio di 7 miglia. Con questo decreto i Corpi Santi persero la loro autonomia e fiscale e, come Circondari esterni, furono posti sotto il controllo autoritario e centralizzato della municipalità milanese/napoleonica. L’effetto fu quello di raddoppiare l’estimo censuario che passò da 4.602.593 a 8.190.208 scudi.
Ritornati a Milano dopo il Congresso di Vienna del 1815, gli austriaci pensarono bene, con la Nuova amministrazione dei Comuni, di ripristinare i confini amministrativi dei Corpi Santi precedenti il 1796 anche per spezzare la continuità amministrativa francese. I Corpi Santi ripresero così la loro porzione di territorio ed autonomia amministrativa, pur se vigilata dal governo austriaco.
Alla vigilia dell’Unità d’Italia (1859), gli attriti tra la città e le aree esterne alla cinta muraria erano ancora molto forti. Entrambe le fazioni, pro e contro l’annessione dei Corpi Santi, si animavano ogni qualvolta si trattava di sostenere le proprie rivendicazioni. Con il Regio Decreto. n.1413, pubblicato l’8 giugno 1873, Milano annesse alfine il “Comune dei Corpi Santi”. Quest’ultimo, fra l’altro, aveva ancora sede in via Crocefisso 11 ed era amministrato da un sindaco, 6 assessori e un consiglio di 30/40 membri.
Si giunse così alla vigilia della modernità. Milano aveva bisogno sempre più di spazi fondiari e, soprattutto, di maggior gettito fiscale. Soprattutto non poteva tollerare di essere limitata nella sua espansione territoriale dalla cintura dei Borghi rurali. Con la pubblicazione del Regio Decreto 2 settembre 1923, n. 1912, i Comuni di Affori, Baggio, Chiaravalle, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino, furono annessi a Milano. Questi Comuni, che vantavano una popolazione di 120.333 abitanti rispetto agli 851.034 di Milano, portarono in dote una cospicua rendita fiscale oltre che una fetta considerevole di terreni fondiari su cui edificare la “Grande Milano”. E Milano, pur in bilico perenne fra il proprio passato e gli slanci futuristici moderni, fece il suo bel grosso balzo avanti relegando, però, i sobborghi e i borghi rurali a mero corollario urbanistico e sociale della metropoli. Il resto è storia di oggi.