Prima il papà e lo zio, poi il figlio Federico. La passione per l’impresa di famiglia, una delle poche macellerie equine di Milano, rimane sempre accesa, e chissà che anche il nipote non segua le orme del nonno…
Quando nasce la macelleria equina?
«Mio papà è arrivato come garzone nel 1965, ma già in precedenza il negozio era una macelleria equina. Poco dopo, essendo già anziano, il titolare ha deciso di ritirarsi e quindi l’attività è stata rilevata da mio padre».
E che rapporto avete con il quartiere? La clientela è locale oppure arriva anche da altre zone?
«Da ciò che raccontava mio padre, in passato, era una clientela che proveniva principalmente dalle case popolari (le case Crespi in via Sant’Elembardo-viale Monza ndr) formata da famiglie molto numerose, soprattutto pugliesi, che adoravano la carne di cavallo. Quindi a quei tempi si lavorava quasi esclusivamente con il quartiere. Negli ultimi anni invece la clientela si è diversificata molto. Oltre alle famiglie di una volta, oggi ci sono molti giovani e molti extracomunitari: sudamericani, filippini… Forse perché negli ultimi tempi la carne di cavallo è stata inserita in molte diete; è una carne proteica, povera di colesterolo, ricca di ferro. È indicata anche nel caso di persone che devono riprendersi da una degenza, sono i medici stessi a consigliarla».
La carne è italiana?
«No, non ci sono allevamenti in Italia. La carne proviene dall’estero, principalmente dai paesi dell’Est. La Polonia è uno dei principali produttori da sempre, ma arriva anche dall’Ungheria, Romania, qualcosa dall’Irlanda, oppure da oltreoceano, da paesi come l’Argentina o il Canada, tutti paesi in cui gli animali vengono allevati all’aperto, quasi allo stato brado e vengono macellati quando anni circa una quindicina d’anni. A differenza dei bovini, sono pochissimi i cavalli giovani che vengono macellati. Inoltre, almeno ai tempi di mio padre, venivano macellati principalmente i cavalli maschi, per la semplice ragione che le femmine venivano utilizzate per la riproduzione».
Come si lavora la carne equina? C’è qualche differenza rispetto ai bovini?
«I tagli del cavallo sono praticamente i medesimi del manzo, ma a differenza del bovino, la carne di cavallo va cotta il meno possibile, perché è leggermente più fibrosa».
E a livello di controlli sanitari?
«Oggi i controlli sono molto serrati, come in ogni ambito alimentare. I cavalli non vengono più importati vivi tramite nave o treno. La legge ora prevede che gli importatori abbiano dei macelli nei paesi di provenienza, dove vengono macellati e spediti direttamente suddivisi in quarti. Io per esempio, acquisto ancora carne con l’osso che poi disosso personalmente come mi hanno insegnato mio padre e mio zio».
Anche per il cavallo esistono parti nobili e meno nobili? Per esempio, si dice che del maiale non si butta via niente…
«No, per il cavallo la resa è di poco superiore al 50%. una volta veniva fornita anche quella che si chiamava la “dote”, che consisteva nei polmoni, i reni eccetera, mentre adesso viene trattenuta direttamente al macello, come anche il fegato, che non è più possibile vendere dai tempi della “mucca pazza”».
Le è mai capitato qualcuno che condanna la vendita di carne equina?
«Sì, c’è tanta gente che per un fattore psicologico non mangia la carne di cavallo. Ma fortunatamente non ho mai avuto alcun problema».
La prossima generazione?
«Mio figlio vorrebbe continuare a portare avanti la macelleria, anche se però mi rendo conto che è comunque un lavoro piuttosto pesante, dato che impegna dall’alba alla sera. Anche perché come le ho detto, preferisco lavorare direttamente la carne. Sia per una questione di soddisfazione personale, che di qualità della carne e anche perché le carni già confezionate sotto vuoto, una volta aperte vanno vendute molto velocemente perché la carne equina è una carne delicatissima. Inoltre, lasciando i quarti appesi in cella frigorifera hanno il tempo di frollare e diventare più teneri. E in questo modo posso anche preparare le salsicce ogni giorno».
Durante il periodo di lockdown, come ve la siete cavata?
«Non ho mai chiuso un giorno, ho sempre lavorato utilizzando anche i social, facendo le consegne durante il pomeriggio, mentre alla mattina preparavo le ordinazioni per i clienti. Quindi, forse anche per il fatto di essere un negozio storico e non aver mai alterato l’atmosfera creata da mio padre, direi che me la sono cavata e continuo ancora oggi a lavorare, anche perché, per fortuna, la grande distribuzione non si è mai occupata di questa particolare nicchia».