di Roberta Osculati, consigliera comunale
Il mese di settembre si associa automaticamente con l’apertura delle aule scolastiche. Ma qui non vogliamo parlare tanto di date o di calendari, quanto piuttosto domandarci perché oggi la nostra scuola non riesca più ad essere un’occasione di riscatto sociale come un tempo e lasci indietro chi ci entra con un retroterra familiare svantaggiato.
Vi è, infatti, una stretta correlazione tra qualità dell’istruzione e dei percorsi di apprendimento e la qualità della vita (ne parliamo a pagina 3 con una ricerca di Fondazione Cariplo, ndr). Da decenni si assiste all’aumentare della frammentazione all’interno delle nostre comunità e a una costante crescita della disuguaglianza, fenomeno complesso che ha molte dimensioni e che segna in modo profondo la vita dei singoli e della società: dispersione scolastica e povertà educativa vanno di pari passo e sono in aumento. Negli occhi di molti studenti – soprattutto dopo il lungo lockdown che ha subito la scuola italiana – si legge ansia, timore, inadeguatezza, a volte noia… le stesse passioni tristi che colpiscono la società (Vedi anche l’articolo a pagina 4, ndr).
E non credo proprio che la “scuola del merito” possa essere una buona soluzione al problema: affrontare il tema puntando al rigido nozionismo, a una maggiore competitività tra studenti, a unire il binomio “lavoro e disciplina” come vorrebbe il ministro Valditara, non ci porterebbe molto lontano. Con questi obiettivi, la scuola perpetrerebbe semplicemente il modello competitivo ed escludente della società, creando nuovi rifiuti ed emarginati.
Compito dell’istituzione scolastica è insegnare a comprendere come funziona il mondo: la scuola deve riuscire a tenere insieme la complessità della crisi – che attraversa il pianeta e che è climatica, economica e migratoria insieme – e saper fornire strumenti per leggere la realtà a partire dalla storia, dalla letteratura, dalle materie scientifiche e artistiche.
Purtroppo, invece, i dati del rilevamento INVALSI hanno puntualmente certificato il ritardo dell’Italia, rispetto all’Europa, sia per le competenze di lettura e comprensione del testo sia per le competenze scientifico-tecnologiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Un divario maggiormente accentuato nelle aree meridionali del Paese e significativamente differente tra aree urbane e aree rurali. Basti solo pensare alla maggiore presenza del tempo pieno e prolungato nelle scuole del Nord e minore o assente nel mezzogiorno; una massiccia presenza della scuola dell’infanzia a settentrione e scarsissima al sud; la quasi totale assenza di nidi per la fascia 0-3 anni a gestione pubblica.
La disuguaglianza così prodotta non è solo una ferita per la persona, ma anche per la comunità, in termini di sviluppo e di prospettiva per il futuro, e conferma perciò quanto sia un tema cruciale che chiama a una riflessione comune il mondo economico, le istituzioni e le organizzazioni non profit.
Oggi la scuola riparte con una grande stanchezza e anche chi ci crede, dopo decenni di impegno, fa fatica a investire nuove energie. Il tema carriera e diversificazione dei ruoli è caduto nel dimenticatoio e lascia il posto agli aspetti organizzativi della “articolazione della funzione docente”, con sempre maggiore burocrazia al seguito.
Vi è poi la modalità di reclutamento degli insegnanti. Troppo spesso la scelta di insegnare oggigiorno non è la prima scelta, bensì un ripiego e una risposta alla disoccupazione: chiunque può entrare in classe, a prescindere dalle competenze, comprese – anzi direi soprattutto – quelle relazionali e pedagogiche. Questo porta spesso a un servizio di scarsa qualità ed è purtroppo quello che emerge e che viene criticato dall’opinione pubblica. E il lavoro di molti non viene né visto né valorizzato. Anche economicamente.
Il mondo della scuola ha bisogno di interventi coraggiosi, non solo economicamente ma anche progettualmente, investimenti capaci di restituirle considerazione e autorevolezza. Speriamo che la politica ne sia all’altezza. Auguriamoci dunque che questo sia un anno diverso, un anno in cui si voglia proporre la scuola come laboratorio di alternativa e di prospettiva, con investimenti più coraggiosi.