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Scuola, anno nuovo, vecchi problemi

Tanti i nodi da sciogliere, dalla preparazione degli insegnanti ai programmi antiquati

di Giuseppe Polistena, Docente, già preside del liceo Manzoni di Milano

La scuola è appena ripartita e devo dire che dopo i miei 28 anni di presidenza (e 21 di docenza) non mi sento in grado di formulare giudizi generali perché si tratta di un settore mastodontico e complesso che nessuno padroneggia del tutto. Chi giudica, an­che dall’interno del mondo scolastico, deve farlo con i piedi di piombo.

Ci sono però dei fatti incontrovertibili che riguardano la scuola italiana: il sogno democratico di una scuola che formi “tutti” i cittadini e li prepari ad affrontare la vita in società svanisce se prendiamo atto dell’indice di abbandono scolastico che in Italia è più alto rispetto a quello degli altri paesi di riferimento. Questa dolorosa situazione, che riguarda decine di migliaia di giovani che vengono praticamente abbandonati a loro stessi, coesiste con alcuni punti forti della scuola italiana: a macchia di leopardo e più che altrove, troviamo una percentuale di docenti molto preparati e il substrato culturale più ricco del mondo.

I due fenomeni sono connessi perché i docenti si sono formati come cittadini colti vivendo in Italia, re­spirando la cultura italiana. Questo dato che sembrerebbe esaltante, coesiste però con una percentuale non piccola di docenti che invece non sono per nulla preparati, non solo nella loro materia ma specialmente nella conoscenza del rapporto didattico e psicologico che dovrebbe essere una precondizione all’insegnamento. Infatti chi insegna qualunque disciplina non può prescindere dalla conoscenza minimale dell’età evolutiva e dell’adolescenza.

Da questo punto di vista va riscontrato e riconosciuto un livello infimo: molti docenti non sanno cosa siano i giovani e quindi non agiscono efficacemente. Si tratta di una forte carenza professionale a cui nessun ministro ha mai pensato di porre rimedio con corsi obbligatori.

Continuando con i dati negativi dobbiamo dire che la spesa universitaria italiana è la più bassa d’Europa rispetto al Pil: appena 0,9% mentre tutti i paesi con noi confrontabili (Spagna, Uk, Germania e Francia) superano tutti l’1%.

Accenno semplicemente, perché sarebbe un capitolo a parte, alla preparazione civica o civile dei ragazzi, un dato preliminare per avere idee politiche culturalmente fondate, perché su questo campo siamo all’età della pietra anche se ultimamente il fenomeno si è notato e gli ultimi ministri hanno cercato qualche soluzione.

Come preside ho tentato alla “Manzoni” di inserire una materia particolare che avevo chiamato “educazione civile” per la quale avevamo ritagliato un’ora. Il progetto era importante e ambizioso ma, onestamente, non ha raggiunto gli obiettivi che avevo sperato, questo perché alcune riforme vanno fatte per tutti e devono partire dall’alto.

L’Italia “vanta” 72 ministri della P.I. dal 1948. È il numero più alto del mondo. Tali ministri, a parte l’unica vera riforma (quella della scuola media unificata del 1962) si sono accaniti con il cambiamento della maturità. Lì si è fermato il loro spirito riformatore: modifiche completamente e concettualmente inutili perchè riguardano il tratto finale di una didattica di 13 anni mentre il problema è quello iniziale e medio su cui si è fatto pochissimo.

Un tacito patto, abbastanza scellerato, si stabiliva tra questi 72 ministri (nello stesso periodo Francia, Germania e Uk hanno avuto tutti tra 19 e 22 ministri) e i sindacati della scuola: poche proteste, pochi soldi in cambio di una stasi piena di conseguenze negative che solo adesso cominciano a vedersi sotto forma di degrado.

Dobbiamo riconoscere a questi ministri che le risorse finanziare, in presenza di un debito pubblico alto, erano veramente limitate e allora assumiamo che la questione del debito impatta silenziosamente sulla scuola attraverso un riconoscimento inesistente per i docenti. 

Ho sempre pensato a una dozzina di riforme della scuola; alcune si possono fare senza soldi ma altre richiedono risorse che non ci sono a cominciare dal trattamento economico dei docenti che da decenni è tra i più bassi dei paesi Ocse. Vorrei elencare quelle che mi sembrano più importanti:

Si potrebbe cominciare con un biennio comune dopo la scuola media, che eviti l’attuale scelta a 12 anni, visto che per scegliere devi sperimentare.

Un’altra riforma possibile sarebbe l’abolizione della scuola media (un anno in più all’elementare e un anno al biennio liceale che diventa trien­nio). Questa riforma non richiederebbe soldi e farebbe forse risparmiare.

Per altre riforme occorrono risorse. Una riforma generativa di positività sarebbe quella della carriera dei docenti, non per determinare una gerarchia ma per stabilire sinergie positive.

Oggi i docenti, a differenza dei medici, non fanno congressi, non si preparano e specialmente non discutono tra di loro ma si comportano come delle isole. Basterebbero tre livelli di carriera a cui si accederebbe per meriti, capacità, riconoscimenti e anzianità.

Un’altra dovrebbe riguardare la valutazione dei docenti fatta oggi in modo ridicolo, perché in Italia il docente medio non accetta di essere valutato, e nemmeno vuole conoscere la percezione che hanno alunni e genitori del suo lavoro, elementi che potrebbero migliorare la sua professionalità.

Ma a un vecchio preside come me sarà pure concesso di illudersi che alcuni delle ragazze e dei ragazzi meravigliosi che ho conosciuto, realizzino qualcuna di queste riforme? La politica è fatta anche di sogni! E Comunque ritengo che le condizioni della scuola imporrano nel futuro, alcune delle riforme che ho declinato.