Cento anni fa (23 marzo 1919) arrivava a Crescenzago il nuovo prevosto: si chiamava don Giuseppe Roncoroni: un uomo pratico, deciso e volitivo; nel giro di due anni decise la ristrutturazione completa della chiesa di Santa Maria Rossa.
Per la verità la chiesa parrocchiale era piuttosto malconcia; certamente necessitava di interventi urgenti. Ma non di vedersi modificata una facciata risalente al XII secolo. Parecchi furono i critici, mentre invece dalla Prefettura veniva inviato un solenne encomio, dichiarando la chiesa monumento nazionale.
Diverso è il momento in cui, tra il 1995 e il 1999, si pose mano al restauro degli affreschi dell’abside, durante il quale riaffiorò la luminosità dei colori originali del Cristo Pantocratore, l’affresco della volta a crociera raffigurante l’Agnus Dei, e, sopra gli stalli canonicali, gli affreschi mai apparsi prima, con due piccoli loculi sotto figure mutile di dodici santi.
Il 19 dicembre 1998, ricorda il parroco di allora don Arnaldo Martinelli “Un accurato studio aveva predisposto un’illuminazione in grado di esaltare ogni angolo della chiesa. Iniziammo con la chiesa semibuia e poi, mentre il nostro organista Eugenio eseguiva la Fuga in re minore di Bach, s’accesero i fari che illuminavano le volte e non mi vergogno di confessare d’essermi emozionato come in rare occasioni”.
La storia della chiesa
Fin dall’anno 900 esisteva in questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Maria: sulle sue fondamenta sorse la chiesa di Santa Maria Rossa della canonica di Crescenzago. La Comunità religiosa di Sant’Agostino insediatasi qui all’epoca del vescovo di Milano Robaldo (1136-1146) costruì il complesso dell’abbazia verso l’anno 1140, come ricorda lo storico Giorgio Giulini.
Da qui passarono milizie ed eserciti, e probabilmente le truppe della Lega Lombarda vittoriose a Legnano contro Federico Barbarossa, come annuncia la lapide posta all’ingresso della chiesa.
Divenuta “commenda” nel secolo XV, tre secoli dopo la canonica venne soppressa a seguito delle riforme degli imperatori Maria Teresa e Giuseppe II; di conseguenza il cardinale Pozzobonelli la ridusse a semplice parrocchia.
I principali elementi architettonici
La facciata oggi è il risultato del restauro avvenuto intorno al 1922-25: il rosone centrale e i due oculi laterali furono sostituiti da sette monofore strombate, mentre tutta la parete venne impreziosita da bacinelle di ceramica colorata e scomparvero le due croci bianche laterali. Formata interamente di mattoni a vista, la facciata è tripartita da paraste che ripropongono l’ordine interno delle tre navate, mentre agli angoli due imponenti pilastri con pinnacoli in cotto la inquadrano secondo un disegno armonico, completato da una cornice di archetti pensili emergenti su una fascia di intonaco bianco; cornice che prosegue, lungo il corpo dell’edificio, anche nelle absidi.
I tre portali presentano lunette con mosaici di fattura recente: quella centrale è dedicata alla Vergine con Bambino e due angeli; le due laterali sono sormontate da angeli.
L’interno è diviso in tre navate presentando diversi stili architettonici tra il romanico e il gotico. Nella controfacciata ammiriamo un affresco raffigurante l’Ultima Cena, opera di Luigi Morgari.

La volta dell’abside è dominata dal grande Cristo in trono dentro una mandorla con i colori dell’arcobaleno, simbolo orientale della divinità. La mano destra è benedicente, mentre la sinistra tiene aperto un libro su cui sta scritto: «Sum Dominus Mundi Lux Celi Rex Quoque Profundi. Impero Dispono Struo Destruo Damno Quoque Corono»: “Io sono il Signore del mondo, Luce del cielo e Re del profondo. Comando, dispongo, costruisco, condanno o incorono”. Ai lati della mandorla quattro figure alate, simboli degli evangelisti. Accanto, le figure di Maria e dell’evangelista Giovanni. La volta a botte del presbiterio è divisa in due parti in cui sono rappresentate quattro scene della vita della Vergine Maria: da sinistra, l’annunciazione e la morte; a destra, il funerale e l’assunzione di Maria in cielo. La volta a crociera sopra il presbiterio raffigura nel medaglione centrale l’Agnello di Dio, attorniato da quattro medaglioni con angeli.
Nella navata sinistra sono disposte tre cappelle laterali. La prima è dedicata (1503) a santa Caterina, martire di Alessandria d’Egitto e patrona dei teologi, secondo un culto importato dai Crociati. Successivamente è stata adibita anche a battistero: il restauro ha portato alla luce affreschi, alcuni dei quali attribuiti al Bergognone. Nella cappella si trova anche la copia di un dipinto su tavola del Bergognone (l’originale del trittico è conservato nel Museo Diocesano di Milano, opera d’inizio ’500) con al centro la figura di santa Caterina e ai lati quelle di sant’Agnese e santa Cecilia, con i rispettivi committenti dell’opera.
Nella navata di destra troviamo l’altare dedicato a san Grato, vescovo d’Aosta, venerato come difensore dai fulmini (in ringraziamento per la tutela ricevuta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale), dove si trova anche la lapide dedicata ai giovani crescenzaghesi morti in guerra.