È naturale, in periodo di Covid-19 e pandemia universale, pensare alle pestilenze d’un tempo e ai ricoveri per gli appestati, sapendo che ogni lazzaretto trova a Venezia la sua origine etimologica.
Venezia infatti destinava agli appestati un’isola intera: l’isola di Santa Maria di Nazareth (da cui deriva il termine nazarethum che, incrociato con il nome di San Lazzaro, protettore degli appestati, fu trasformato più tardi in lazarethum). Ma in tutta Italia è Milano che emerge in campo letterario (e oggi purtroppo anche in campo sanitario) con il suo autore nazionale e il lazzaretto di Porta Venezia: «S’immagini il lettore il recinto del lazzaretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente…» (Alessandro Manzoni, I Promessi sposi, Cap. XXXV).
Da porta Venezia a Crescenzago
Verso la metà del ’400 scoppia in tutta Europa una epidemia magna. Milano che era solita portare gli appestati fuori città (ecco i luoghi di ricovero extramoenia come la Maddalena di Precotto, Corte Regina di Cimiano, di cui parleremo), pensò bene di organizzare il trasporto in forma discreta, per mezzo di barche che percorressero il Naviglio, senza attraversare le strade cittadine. Nel ‘400 la scelta cadde sul castello visconteo di Cusago, raggiungibile attraverso il Naviglio, ma non troppo vicino a esso. Al punto che venne giudicato alquanto scomodo e inadatto.
Vennero presentati allora al duca Galeazzo Maria Sforza diversi progetti di ricoveri collegati con l’Ospedale Maggiore (Ca’ Granda, attuale Università Statale). Tra i progetti, quello di Lazzaro Cairati, notaio dell’ospedale, che nel 1460 propose un lazzaretto ben organizzato e attrezzato da costruirsi in loco Crescenzago, e da raggiungere con barche lungo il Naviglio Martesana.
Il progetto prevedeva un grande edificio quadrato disposto intorno a una larga corte, con 200 camerette, e altri locali per i sanitari, per i “sospetti”, per i convalescenti, oltre alla chiesa e al cimitero. Proprio a Crescenzago il papa Pio II aveva concesso a questo scopo un terreno appartenente all’abbazia di Santa Maria Rossa unitamente a indulgenze per chi avesse contribuito alle spese costruttive. Tale progetto tuttavia non venne mai realizzato, forse per difficoltà economiche o, ancora una volta, per l’eccessiva distanza dalla città. Ma la pestilenza che scoppiò negli anni 1484-90 convinse Ludovico il Moro ad accelerare i tempi realizzando effettivamente il progetto del Cairati in un luogo più vicino alla città, fuori di Porta Orientale nel borgo di San Gregorio.
Il lazzaretto di Crescenzago
Il borgo di Crescenzago e il suo territorio, in ogni caso, non smisero di venire utilizzati come ricovero per malati di peste, a causa dei ricorrenti contagi che affliggevano la città. Come quello che colpì Milano nel 1524, dopo che il duca Francesco II Sforza in aprile espugnò la fortezza di Abbiategrasso per cacciarne i Francesi. Fu quella una vittoria sfortunata e dalle conseguenze tragiche per i Milanesi. Ce ne racconta Pietro Verri nella sua Storia di Milano: «Sgraziatamente però terminò per Milano la vittoria di Abbiategrasso, poiché eravi la pestilenza; ed i Milanesi vincitori la portarono nella patria, la quale pestilenza fu una delle più funeste e micidiali».
Giovan Marco Burigozzo nella sua Cronica calcola che in quell’occasione i morti fossero più di cento mila persone, ovvero due terzi degli abitanti. Cinquant’anni dopo (1576-77) la città viene colpita da una nuova epidemia. Se ne prende cura il cardinale Carlo Borromeo, il quale, in visita pastorale al territorio di Crescenzago nel 1576 e nel 1582, dispone che venga organizzato un ricovero per i malati lungo il Naviglio Martesana, nell’area oggi contrassegnata dalla via San Mamete, e vi fa erigere allo scopo un oratorio, conosciuto ancora oggi con il nome di San Mamete al Lazzaretto. In via San Mamete rimane una prova non ancora cancellata dal tempo: a metà della strada sulla vecchia insegna è scritto: ex-via già lazzaretto.
Cimiano e corte regina
Quella dei Borromeo è una tradizione di assistenza e di cura, continuata, dopo san Carlo, dal cugino cardinale Federico per trovare soluzioni pratiche atte a sconfiggere il terribile morbo. Perciò è possibile che, nel corso della visita pastorale compiuta a Crescenzago nel 1611, il cardinale Federico disponesse il ricovero degli ammalati anche accanto alla chiesa di Santa Maria in Corte Regina, così come aveva fatto nella vicina Cascina Biblioteca.
Per Cimiano la tradizione orale riferisce dell’esistenza di un antico cimitero nel luogo della cascina di via Pusiano-Monteggia, già residenza di campagna del generale napoleonico Domenico Pino, ma ancor prima convento di monache, forse collegato al convento delle monache della Vettabbia di Corte Regina.
Nei secoli precedenti, comunque, l’oratorio di Santa Maria in Corte Regina probabilmente era stato luogo di ricovero per i malati della peste scoppiata a Milano già sotto la signoria di Barnabò Visconti, che lo aveva eretto. Ricovero poi confermato sotto Gian Galeazzo Visconti, sotto la signoria di Francesco Sforza a causa della peste scoppiata nel 1450 e, infine, dopo le visite dei cardinali Carlo Borromeo (1576, 1582) e Federico (1611). Al cardinale Federico si deve anche l’istituzione dell’“ostello dei poveri” (xenodochio) creato nella Cascina Biblioteca di sua proprietà. Secondo alcuni storici, anche presso la vicina cascina di San Gregorio Vecchio, in un punto chiamato “foppone dei morti”, esisteva un cimitero destinato ad accogliere le vittime della peste (oggi trasformato nel Cimitero di Lambrate).
L’oratorio di Santa Maria
L’ultimo dei luoghi di ricovero che ci interessa fuori delle mura cittadine lo troviamo a Precotto, è l’oratorio di Santa Maria Maddalena, risalente nella struttura al 1500, e certamente ristrutturato nel 1620. Un’antica lapide ne fa esplicito cenno: Anno mdcxx S. Maria Magdalena instaurata fuit.
La presenza di questo oratorio campestre nell’antico cimitero ci rimanda anch’esso alla possibile primitiva funzione: ospizio fuori città per gli appestati e gli incurabili della peste del 1576-77. Quindi luogo di dolore e sofferenza. Forse è per tale motivo che vi troviamo pregevoli affreschi attribuiti alla scuola del Luini riproducenti Santa Maria Maddalena in atteggiamento di penitenza, che secondo alcuni studiosi si collegano ad analoghe versioni luinesche esistenti nella Certosa di Pavia e in San Lorenzo in Milano. Un medaglione con Dio Padre attribuito alla scuola bramantesca occupa il soffitto.