di Fabio Pizzul
Chi ha un medico di base oggi in Lombardia può considerarsi fortunato: ci sono più o meno mille ambiti scoperti in regione e i medici in servizio devono spesso farsi carico di oltre 1800 pazienti.
Se capita qualcosa di grave o di urgente, per fortuna, i lombardi possono contare su un’assistenza di alto livello, ma se parliamo di prevenzione o di soluzione di piccoli problemi di salute, la situazione si fa molto più complicata.
Il 30 novembre 2021 il Consiglio regionale ha varato una riforma del sistema sanitario che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi di una sanità che non appariva più in grado di dare risposte alle esigenze dei cittadini e che era uscita molto provata dall’emergenza Covid. A un anno e mezzo di distanza si vedono più problemi che successi.
I problemi sono noti, ma le soluzioni tardano ad arrivare. Lo ha confermato lo stesso assessore regionale alla Sanità Guido Bertolaso in alcuni interventi delle scorse settimane.
Bertolaso ha ammesso che le aziende ospedaliere, quelle che tecnicamente vengono definite ASST e devono governare e organizzare gli ospedali, si fanno sostanzialmente i fatti propri, senza seguire le indicazioni regionali e senza inserirsi in una programmazione sanitaria comune. Un’affermazione molto pesante, che chiama in causa le capacità organizzative dei dirigenti sanitari e la corrispettiva capacità di tenere sotto controllo i costi di strutture che, tra l’altro, non riescono a diminuire le liste di attesa e a creare condizioni adeguate per il lavoro di personale medico e sanitario che è sempre più sotto pressione.
Come se non bastasse, pochi giorni dopo, l’assessore si è espresso molto criticamente riguardo la gestione dei dipartimenti di prevenzione che attualmente sono collocati all’interno delle stesse ASST. Con le modifiche legislative di fine 2021, il mondo della prevenzione sanitaria è stato spostato dalle otto ATS regionali alle ventisette ASST, separando prevenzione veterinaria e prevenzione umana, suddividendo la prevenzione in diverse funzioni e mettendola così a rischio. Tra queste competenze, per esempio, la prevenzione degli incidenti sul lavoro, già fortemente a corto di personale. Può sembrare un tema tecnico, ma lavorare sulla prevenzione è uno degli elementi fondamenti di un servizio sanitario che voglia garantire la salute dei cittadini ed evitare che si debbano rivolgere alle strutture ospedaliere per malattie acute che, tra l’altro, sono molto più difficili e costose da curare.
Ciliegina sulla torta, l’assessore Bertolaso ha ammesso che le Case della Comunità sono ancora ben lontane dal pieno funzionamento, dicendo che è difficile immaginare di poterle gestire con un PNRR che non stanzia neanche un centesimo per nuovo personale sanitario. Che i fondi europei si potessero utilizzare solo per realizzare le strutture e non per pagare il personale era una questione nota da tempo; sacrosanta perciò la richiesta al governo di “norme più elastiche” per incentivare nuove assunzioni di medici e infermieri, ma la questione pare destinata a finire nel vuoto, visto che il governo non prevede maggiori finanziamenti per la sanità.
Regione Lombardia ha attivato una “unità per il monitoraggio dello stato di attuazione” del PNRR che ha visitato negli scorsi mesi 55 Case della Comunità, scoprendo che quasi tutte (53 su 55) avevano gli Infermieri di famiglia e comunità, ma solo in 18 (una su tre) c’era almeno un medico di famiglia col suo ambulatorio. Se l’80% delle Case è dotata di poliambulatorio (anche perché molte erano questo in origine proprio poliambulatori), solo il 27% offre diagnostica per immagini, terapie e riabilitazione, solo 12 hanno un punto prelievi e solo 5 vaccinano e garantiscono assistenza domiciliare. Davvero poco per poter dire che esiste l’assistenza territoriale.
C’è poi un dato che fa impressione: se prima della pandemia i lombardi che rinunciavano alle cure erano 1 su 20, ora siamo a 1 su 9. Il problema spesso è quello di dover pagare visite e cure perché le liste di attesa impediscono di ottenerle in tempi utili. Chi non ha diponibilità economiche finisce per non curarsi.
Diamo, infine, un’occhiata anche alla situazione del Municipio 2.
L’impressione è che il piano previsto sia ancora in ritardo. Una Casa della Comunità è già stata attivata ed è quella in via Andrea Doria, dove sorgeva già un poliambulatorio. È stata poi individuata una struttura da costruire sullo spazio dell’ex Mercato Comunale di Gorla. A fine maggio si è svolto un incontro con l’assessore comunale Bertolè e il direttore dell’ATS metropolitana Bergamaschi, ma il progetto pare ancora lontano da una possibile concretizzazione. C’è poi il poliambulatorio di via don Don Orione che, ristrutturato, potrebbe rispondere alle caratteristiche proprie di una Casa di Comunità. Ma questa è, al momento, più un’idea che un progetto.
L’impressione, insomma, è che, tra medici di base che mancano e Case della Comunità che non decollano, la sanità territoriale lombarda sia tutta da costruire.