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Mister Jo con Bimbe nel Pallone dà un calcio ai pregiudizi sportivi

Intervista a Joanne Borella, che con la sua associazione sportiva femminile combatte i pregiudizi maschili.

L’incontro con Joanne Borella assomiglia a quelle folate di vento tiepido che alla fine dell’inverno, d’improvviso, spalancano le finestre della stanza e ti annunciano che la primavera sta arrivando. Minuta, con la voce roca e un sorriso da bimba Joanne porta in sé l’esplosività di una dribblista che dal centro campo costruisce la sua azione per portare la sua squadra al goal. 

Il pallone è per lei più di un gioco e mi spiega il perché. Originaria dell’India, dove nasce nel 1966, Joanna è accolta ben presto nell’orfanotrofio gestito dalle suore. Ha solo due mesi e questa porta che si apre le permette di avere una nuova casa e una nuova famiglia anche se provvisorie. Sono 150 i bimbi che lì incontra e che come lei hanno perso la propria famiglia e ne cercano un’altra. I primi mesi non sono facili come tutti possiamo ben capire.

Senza un accudimento personalizzato la piccola Joanne se ne sta sulla sua stuoietta e a 15 mesi ancora non ha imparato a camminare. Un giorno la sua strada si incrocia con quella di Francesco e Raffaella, una coppia di italiani che da tempo ha deciso di intraprendere la strada della adozione internazionale. Superate le fatiche amministrative, con l’aiuto di un intermediario, la piccola Janne prende il volo per Milano. Ad attenderla una nuova famiglia e due fratelli più grandi. È il novembre del 1967 e la piccola bimba ha già attraversato il pianeta. Sarà la prima di una bella serie di adozioni internazionali che si inaugurano nel nostro paese!

Mi confida Joanna: “il pallone mi aiutò ad integrarmi nella nuova famiglia e mi insegnò a camminare!”. Nella nuova dimora milanese il pallone di gomma che rotola la spinge a inseguirlo e a giocare con lei. I fratelli più grandi diventano i primi compagni di squadra e poco alla volta Joanna recupera le abilità motorie che dormivano in lei per assenza di stimoli. L’amore per il pallone la inizia ad una corsa che non si è ancora fermata.

“Sino agli anni 90 – mi spiega – non c’erano donne che giocavano al pallone e a scuola, all’epoca abitavo in piazzale Libia, organizzavo con i miei compagni delle partitelle usando dei palloni di carta e nastro adesivo che costruivo sotto gli occhi divertiti delle mie maestre”. 

Joanna non ha più smesso di organizzare tornei e partite con i suoi compagni, maschi o femmine che fossero. Per lei correre e divertirsi dietro un pallone non era una cosa né da maschi né da femmine ma da bimbi. Con il tempo, però, doveva rendersi conto che, per un tabù culturale, con l’avanzare del tempo, tale divertimento sarebbe stato consentito solo ai maschi. Ma lei non era d’accordo.  

Dal 1990 Joanna si trasferisce in via Padova. L’infanzia è passata ma la giovane donna dopo gli studi non ha perso la voglia di giocare a calcio. Qui incontra due ragazze che giocano nella Pro Sesto in una squadra femminile, ma l’età, gli impegni di studio e lavoro e la distanza dal campo di allenamento non le permettono di unirsi a loro. “Allora per giocare a calcio me ne andavo al Parco Lambro dove potevo sempre trovare qualche compagno di gioco”. Il matrimonio e l’arrivo dei due figli, Filippo prima e Maria dopo, sembrano seppellire per sempre la voglia di giocare ma, come un fiume il cui corso è stato incanalato sotto terra, la sua forza ed energia un giorno esondano tornando alla superficie. “L’ambiente del parco Trotter e la collaborazione tra le famiglie che attorno alla scuola e al parco fiorisce spontanea mi ha offerto una nuova possibilità di tornare al calcio. Allora non avevo un vero lavoro ma utilizzando un servizio che allora era presente nel parco (e che si chiamava “Tempo per le famiglie”) mi si è presentata una occasione: potevo offrire ai miei figli un tempo di socializzazione diverso da quello puramente familiare e potevo concedermi il tempo per stare con me il piacere di giocare a calcio”. 

È in questo contesto che in Joanna nasce l’idea di costituire una società sportiva, Bimbe nel Pallone, per dare alle bambine – ma anche alle loro mamme – la possibilità di imparare a giocare a calcio e divertirsi facendo sport. Poco alla volta l’iniziativa è cresciuta e se all’inizio era guardata con un misto di sorpresa e scetticismo, ora che anche a livello nazionale il calcio femminile ha smesso di essere visto come una eccentricità, il progetto di Joanna appare nel suo vero valore e prende poco alla volta peso nel quartiere di Nolo. 

Chiedo a Joanna che cosa oggi manchi affinchè gli obiettivi del progetto “Bimbe nel pallone” si possano raggiungere: “Due cose – mi dice – innanzitutto gli spazi. Fare sport in un quartiere come Nolo e più in generale nel municipio 2 non è facile perché gli spazi sono pochi. Quando poi in gioco c’è lo sport al femminile questi spazi sembrano ridursi oppure si viene relegati a fasce orarie improbabili. La seconda cosa è più di mentalità: riconoscere che la donna ha diritto a sport e divertimento tanto quanto l’uomo. Come l’uomo può rientrare a casa e dire alla moglie: vado a giocare con i miei amici e poi mi fermo a bere una birretta con loro… sarebbe bello che una moglie possa dire lo stesso al marito: questa sera esco con le mie amiche per una partitella e magari poi usciamo a berci una birretta. Cucina e metti a letto tu i bimbi!” .

Joanna Borella è stata insignita quest’anno del riconoscimento civico del Panettone d’Oro. La motivazione del premio ne riflette bene la storia e sintetizza bene il suo carisma. Così è stato scritto: “…Mister Jo, è una allenatrice di calcio. È stata la prima bambina di origini indiane a essere adottata in Italia, aprendo il canale delle adozioni internazionali nel nostro Paese a metà degli anni Sessanta. Oggi dirige l’associazione di calcio femminile Bimbe nel Pallone. Con la palla ha imparato a camminare e oggi la usa per dare calci ai pregiudizi: perché non è vero che il calcio è uno sport da maschi, perché la religione, le origini e il sesso non fanno le differenze, e perché basta andare in rete tutte insieme per fare squadra anche nella vita”. 

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