Ci sono due fenomeni che in questi ultimi anni mi hanno colpito in modo fastidioso, soprattutto per il dilagare che hanno assunto. Sono fenomeni privi di quel “buon senso” che oggi, a quanto pare, non vale più niente. Un capriccio, questo “buon senso”, portato ancora in palmo di mano da vecchi boomer (ovvero i nati a cavallo tra il 1946 e il 1964), e che invece, per le generazioni più recenti, è un appellativo da usare per definire le persone che mostrano atteggiamenti e modi di pensare ritenuti superati. Insomma, un modo come un altro per dare del vecchio rimbambito, tanto per usare un eufemismo. Ma per tornare ai fenomeni con cui ho aperto, partiamo dal primo che è il più evidente.
Sembra che in Internet siano diventati tutti degli esperti in qualsiasi settore: dalla cucina, al fai da te, dalla medicina (con tanto di diatribe tra no-vax e persone ragionanti) alla puericultura, alla sessualità e via discorrendo. Qualsiasi sia la curiosità, c’è sempre qualcuno che ha la soluzione in tasca e, quando non ce l’ha, incolpa gli immancabili “poteri forti” che oggi sono l’economia, le case farmaceutiche, il capitalismo e tutta una serie di ammennicoli vari a cui le persone si attaccano pur di non capire che a volte se “non ce l’hai fatta” è pure colpa tua. In pratica siamo alla fase 2.0 dell’Alberto Sordi di Un americano a Roma che, di fronte alle difficoltà della vita, non riesce a proporre altro che la scusa infantile del: “A me m’ha rovinato ‘a guera”.
Pazienza se poi succede che la cura omeopatica non ha funzionato, o se il rimedio della nonna le verruche le ha moltiplicate invece di farle passare, o se quell’investimento così sicuro sia andato a ramengo.
Il secondo tema invece pare essere l’esatto rovescio della medaglia: se osi esprimere un’opinione, commentare o criticare educatamente qualsiasi cosa, se ne esce immancabilmente quello che ti dice: “Ma come ti permetti di criticare? Tu che non fai parte di questa o quell’altra categoria, dovresti sciacquarti la bocca prima di parlare!”. E non è un vizio solo italiano, ma globale. Cito dal libro di Nathalie Heinich, L’ideologia vendicativa, Gog, 2024, “…l’esperienza individuale è eretta a garante della legittimità del discorso a proposito del gruppo con il quale ci si identifica o si viene identificati: bisogna essere arabi per studiare il razzismo, lesbiche per indagare l’omosessualità femminile, o nere per tradurre una poetessa afroamericana…”. E ci aggiungo: essere regista o attore per poter criticare un film, uno scrittore per recensire un libro, un musicista per fare critica musicale, un insegnante per parlare di scuola e, se andiamo avanti così, per eccesso, potremmo anche dire che bisogna essere affiliati a un clan per parlare di mafia.
No, le cose non stanno così per fortuna. Sia il diritto di critica che di cronaca, sono disciplinati dall’articolo 21 della Costituzione italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La stessa cosa è stata rimarcata anche dal presidente Mattarella che, a margine della cerimonia del Ventaglio dello scorso luglio, ha dichiarato: “Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e realtà…”.
Quindi criticare o manifestare il proprio pensiero su qualsivoglia argomento è un diritto sacrosanto. Se poi si diranno delle stupidaggini ce ne si prenderà anche la responsabilità, ma è chiaro che chi m’impedisce di esercitare un diritto costituzionale in nome di conoscenze che secondo lui non ho, si metta il cuore in pace e si assuma la responsabilità di essere considerato un antidemocratico tout court.
Quindi come mio diritto, oltre ad augurare a tutti gli studenti un sereno nuovo anno scolastico, mi permetto di fare qualche piccolo commento in merito alla bozza delle “Nuove indicazioni Nazionali per il curricolo delle scuole materne, elementari e medie”, presentato a marzo di quest’anno – ancora in fase di approvazione – e che dovrebbe entrare in vigore con l’anno scolastico 2026/2027. Mi sembra per esempio un’ottima idea la rivalutazione della scrittura in corsivo e la calligrafia (purtroppo molti ragazzi non sanno quasi più scrivere a mano e questo è un dato di fatto). Ci sarà anche uno sguardo meno “global” e più “local” per storia e geografia, anche se mi auguro non si torni a quei compitini in cui si doveva elencare per ogni regione italiana la produzione agricola di grano, le tonnellate di acciaio o altre amenità senza utilità alcuna.
E c’è anche un invito a potenziare la lettura (gli italiani che hanno letto almeno un libro nel corso di un anno sono appena il 35,4% il che ci pone terzultimi in Europa davanti solo a Cipro e la Romania).
A tutto ciò si aggiunge il già approvato divieto di utilizzare i cellulari durante l’orario scolastico esteso anche alle superiori. Onestamente pensavo che, come quando si va al cinema, a teatro, o a un concerto di musica classica, fosse automatico, oltre che segno di buona educazione, spegnere gli smartphone. Ragione di più che non possano essere utilizzati a scuola durante le lezioni. Tralasciando l’aspetto negativo dell’uso di social e similari sulla psiche dei ragazzi e delle ragazze, mi sembra comunque una logica misura di buon senso che non fa altro che allinearsi a misure già adottate per esempio da Svezia, Finlandia, Olanda e Francia.
Purtroppo ci sono anche aspetti controversi, ma come sempre bisogna porre attenzione a non trasformare quelli che sono punti di vista diversi, in dogmi. Non tutto il mondo può pensarla alla stessa maniera, e non è detto che si debba per forza avere sempre ragione noi.
Alla fine niente di eclatante, come al solito, ma mentre si aspetta una seria riforma della scuola che nessuno avrà mai il coraggio di fare, non sono mancate le voci di dissenso. Sicuramente, come per tutte le indicazioni fornite alla scuola non certo da oggi, il documento contiene diversi elementi senz’altro criticabili ma, essendo appunto indicazioni, starà ai docenti concentrarsi su quelli che ritengono più validi. Insomma, ogni tanto un po’ di ottimismo non farebbe male, proprio per non cadere sempre nella cazzoneria italiana per la quale nulla va bene, ma nessuno si impegna per cambiare qualcosa. D’altronde lo sapeva benissimo anche Tomasi di Lampedusa che, nel Gattopardo, a Tancredi faceva dire: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”.




