di Brando Benifei – Eurodeputato PD
Dopo lo svolgimento delle elezioni europee dello scorso giugno ci troviamo nella delicatissima fase iniziale della legislatura nella quale vanno componendosi gli organismi e vengono individuati i membri della Commissione: si tratta però soprattutto di mesi decisivi per delineare con maggiore nitidezza i pilastri dell’azione politica ed economica dei prossimi anni.
Non è naturalmente un lavoro che si concluderà entro la fine del 2024 ed è comprensibile che determinati eventi possano in qualche misura alterare o addirittura travolgere priorità precedentemente individuate (basti pensare agli effetti devastanti della pandemia), ma è certo che dobbiamo avanzare da subito le nostre idee ed essere pronti a batterci per le nostre priorità, al fine di “indirizzare” questo avvio del secondo mandato della Presidente Von der Leyen nella direzione di un’Europa sociale, più vicina ai cittadini, più forte come voce nel mondo.
Partirei, dunque, da una questione urgente e, a mio giudizio, non più rinviabile: l’aggiornamento dell’architettura istituzionale contenuta nei Trattati.
Al Parlamento europeo dopo lo svolgimento della Conferenza sul futuro dell’Europa e, più in generale, di un ampio dibattito, abbiamo approvato lo scorso novembre un’ambiziosa proposta di riforma dei Trattati, che aveva tra i suoi punti qualificanti l’abolizione del diritto di veto in Consiglio; il rafforzamento del ruolo del Parlamento come colegislatore per il bilancio a lungo termine; un maggiore ricorso alla procedura legislativa ordinaria; l’istituzione di referendum europei; una revisione delle norme sulla composizione della Commissione europea e un ampliamento delle competenze dell’UE in alcune materie determinanti come salute, politiche sociali, salvaguardia ambientale e difesa dello Stato di diritto.
È fondamentale rilanciare su questi temi, nonostante gli interessi nazionali di breve termine possano essere anche molto distanti, come testimoniato dal voto della proposta di riforma, che ha spaccato quasi a metà l’aula di Bruxelles. Ci troviamo però in mezzo al guado e, sebbene siano comprensibili timori e ritrosie rispetto a formule che prevedano un’Europa a “due velocita” o a “geometria variabile”, ritengo che allo stato attuale non ci sia alternativa a una scelta di coraggio, che si traduca nell’assunzione di responsabilità di portare avanti un progetto di riforme radicali della governance europea anche cominciando da un gruppo ristretto di Paesi, che condivida già la stessa moneta e voglia rafforzare i propri legami, a partire dalla politica estera e da quella fiscale. A quel punto per apparente paradosso diventerà più semplice procedere anche a un ulteriore allargamento dell’Unione europea, che al momento per qualche sensibilità nazionale rischia di essere “troppo”, mentre per altre decisamente non è “abbastanza”…
Credo, infatti, che un profondo adeguamento della struttura dell’Unione europea, delle modalità con cui assume le proprie decisioni e delle procedure con cui si individuano e si dà legittimazione alle figure che devono rappresentarla all’esterno costituisca la premessa per qualsiasi riflessione volta a sostenere la necessità per il vecchio continente di riassumere una voce forte e riconoscibile nel mondo globalizzato di oggi e non perdere ulteriore terreno rispetto a giganti come Stati Uniti e Cina, tema su cui si è concentrato anche il Rapporto Draghi.
Gli esempi che testimoniano questa impellenza sono innumerevoli, ma mi limito a menzionarne due. Il primo, già citato, riguarda la politica estera: in un contesto di “terza guerra mondiale a pezzi”, per citare la formula di Papa Francesco, nel quale la guerra è arrivata ai nostri confini con l’invasione russa dell’Ucraina e nel Mediterraneo si è nuovamente infiammato lo storico conflitto israelo-palestinese con la vergogna del 7 ottobre e il massacro di civili in corso a Gaza, l’Unione europea dovrebbe avere una posizione comune e svolgere una funzione determinante per accompagnare rapidamente a una soluzione queste tragiche situazioni. Il secondo esempio riguarda invece l’intelligenza artificiale della quale continuo a occuparmi con costanza dopo essere stato relatore del regolamento europeo, che per primo ha definito una disciplina complessiva della materia. Ecco, io ritengo che si sia raggiunto un punto di caduta positivo tra la necessità di tutelare i diritti delle persone e la volontà di non soffocare l’innovazione tecnologica, ma ogni buona norma rischia di diventare inutile, se la nostra capacità di innovare viene poi mortificata da decisioni tardive, applicazioni non coese, risorse stanziate poco e impiegate meno.
Un aspetto decisivo di questa legislatura europea è rappresentato poi dalla necessità di dare continuità al Next Generation UE: da strumento eccezionale in una situazione – speriamo – irripetibile deve essere trasformato in un progetto politico compiuto, in un caposaldo strutturale del nostro percorso di integrazione. Ricordiamo bene l’estenuante negoziato, il superamento dei veti di e anche il ruolo prezioso svolto dal Partito Democratico nel dare credibilità alla posizione italiana, che portarono al risultato senza precedenti di un debito comune europeo con l’Italia principale beneficiaria con oltre 200 miliardi del Recovery Plan.
Ciò che mi preme sottolineare adesso non è però la prospettiva esclusivamente economica, per quanto si tratti ovviamente di risorse preziose per mille ragioni. Se si trattasse però “soltanto” di soldi, allora potrebbe assumere significato la prospettiva dell’eccezionalità per cui c’è stata un’emergenza, superata la quale si torna al precedente status quo di scarsa solidarietà e diffidenze reciproche. È necessaria invece una forte spinta per portare avanti quella scelta politica e rivendicare il disegno di stabilizzarla in termini definitivi: sarebbe un errore fatale tornare indietro e arrestare quella decisione coraggiosa, magari applicando assieme in modo restrittivo anche le nuove regole del patto di stabilità e crescita, che sono state elaborate con un’imbarazzante assenza del nostro governo.
C’è ancora un’agenda sociale da non trascurare e non a caso abbiamo posto il lavoro al primo punto del programma “L’Europa che vogliamo”, avanzato dal Partito Socialista Europeo alle scorse elezioni. In Italia, così come in Europa, si sta registrando un trend di crescita dei tassi occupazionali, ma leggere soltanto questo dato finisce per essere un’operazione sterile, che non comprende la realtà dei fatti. La politica a ogni livello deve essere, infatti, impegnata a creare posti di lavoro migliori e retribuzioni giuste: specialmente nel nostro Paese conosciamo il dramma dei salari bassi e del crollo del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori, che vivono spesso quella odiosa condizione del “lavoro povero”, che fa guardare con timore alla fine del mese e subire spesso con impotenza l’aumento del costo della vita. Tra i vari impegni da realizzare bisognerà concentrarsi, quindi, su lavoro di qualità e salari dignitosi, oltre a battersi per la riduzione dell’orario di lavoro, il superamento dei divari di genere a partire dal divario salariale, il raggiungimento dell’obiettivo zero morti sul lavoro e la garanzia del diritto alla disconnessione.
Giustizia sociale e giustizia climatica sono due facce della stessa medaglia: i riscontri sono continui e sono i soggetti più vulnerabili a pagare il prezzo del cambiamento climatico (purtroppo a volte addirittura con la vita).
Il voto favorevole dei Verdi al secondo mandato di Ursula Von der Leyen alla guida delle nostre istituzioni è un’apertura di credito importante, ma, considerati passaggi talvolta timidi o scorretti, si dovrà vigilare con attenzione su come realizzare una transizione, che deve tenere assieme più elementi: non se ne può appunto scaricare il costo su famiglie e lavoratori, né si possono sacrificare le nostre aziende. Servono insomma misure di accompagnamento e risorse adeguate ma rispetto all’ideologia miope dei conservatori che nascondono il problema, dobbiamo confermare la volontà di raggiungere la neutralità climatica, continuando a investire nell’energia rinnovabile e nell’efficienza energetica con l’impegno a una riforma del mercato che garantisca l’accessibilità e la stabilità dei prezzi.
L’ultima questione che desidero evidenziare concerne il diritto alla casa: troppe persone, giovani e meno giovani, non riescono a trovare alloggi dignitosi e a costi adeguati: servono politiche più incisive per contrastare la povertà abitativa e attuare un piano europeo per l’edilizia residenziale, che preveda investimenti per garantire a tutti un alloggio e proceda verso una complessiva riqualificazione energetica.
Come ho tentato di sintetizzare, i progetti per rafforzare una certa idea dell’Europa sono tanti e urgenti: non bisogna perdere tempo e dobbiamo far partire subito la legislatura con il piede giusto.