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Emergenza casa: l’Italia ha bisogno di politiche solide

di Brando Benifei – Eurodeputato PD

N egli ultimi mesi il tema della casa è tornato con forza nell’agenda pubblica. Non credo sia un caso: la questione abitativa tocca, infatti, la vita quotidiana di milioni di persone e rischia di diventare una vera emergenza sociale, se non si interviene subito con politiche strutturali. Il caro affitti, in particolare, è il sintomo più evidente di un sistema, che ha smesso di garantire un diritto fondamentale, trasformando spesso l’abitare in condizioni dignitose in un lusso riservato a chi ha già molto.

I dati sono eloquenti: in Italia quasi un terzo delle famiglie vive in affitto e oltre il 40% di queste spende più del 30% del reddito per l’alloggio. Nelle grandi città universitarie la situazione è drammatica: a Milano una stanza singola può superare i 700 euro, a Bologna e Firenze si viaggia sui 500–600, a Roma e Torino non si risparmia molto di più. La combinazione di inflazione e stagnazione salariale riduce il potere d’acquisto e costringe migliaia di persone a rinunce quotidiane: c’è chi abbandona l’università, chi sceglie soluzioni precarie e sovraffollate, chi è obbligato a cumulare più stipendi per pagare un solo tetto.

Non si tratta però di un fenomeno esclusivamente italiano: in tutta Europa il caro affitti è diventato uno dei temi centrali della nuova questione sociale, ma la sensazione è che si stia cercando di contrastarlo con maggiore convinzione. A Berlino si è tentato un “rent cap” locale, poi bocciato dai giudici costituzionali, ma indicativo della pressione sociale. A Barcellona, l’amministrazione ha deciso di vietare entro il 2028 gli affitti turistici per riportare migliaia di alloggi sul mercato residenziale. In Francia, oltre il 15% delle abitazioni è pubblica o a canone calmierato, a fronte di appena il 4% in Italia. Questo confronto mostra la distanza tra il nostro Paese e i modelli più avanzati e quanto ci sia da fare per colmare il ritardo.

Purtroppo, il governo italiano si è dimostrato del tutto inadeguato nell’affrontare questa emergenza. Si continua a parlare di bonus e di misure spot, ma senza una visione d’insieme. In un momento in cui il problema cresce, il taglio del fondo per il sostegno agli affitti e per la morosità incolpevole è incomprensibile; così come la scelta di non rifinanziare il contributo per gli studenti fuori sede lascia università e famiglie in difficoltà. Non basta scaricare la colpa sulle piattaforme di affitti brevi o sulla speculazione, che pure hanno importanti responsabilità: serve una politica pubblica forte e coerente.

La recente proposta della premier di un “piano casa” riservato alle sole giovani coppie assume ormai un amaro sapore di propaganda: questo governo c’è da quasi tre anni, ma si limita ancora, quando va bene, alle promesse. Certamente c’è un legame tra caro casa e crisi demografica e, se un giovane o una giovane coppia è costretta a spendere metà del proprio reddito per l’affitto, senza certezze lavorative né servizi adeguati, come può progettare un futuro con figli? La politica familiare però non si fa con slogan, ma rendendo possibile l’abitare dignitoso e accessibile. A prima vista, infatti, questa proposta potrebbe sembrare una buona notizia, ma in realtà è una misura limitata e ingiusta. In un Paese dove l’emergenza abitativa colpisce studenti, lavoratori single, famiglie monogenitoriali, persone separate o anziane con pensioni basse, concentrare risorse solo su un modello familiare tradizionale significa lasciare indietro la maggioranza di chi soffre davvero il caro affitti. La casa non può essere un “premio” per chi si sposa o mette su famiglia: è un diritto universale, che deve essere garantito a tutti, indipendentemente dallo status civile o dalle scelte personali. Inoltre, ridurre la questione abitativa a una leva ideologica di incentivazione demografica è miope: non si fanno più figli, perché mancano un tetto accessibile, un lavoro stabile e servizi adeguati, certamente non se ne faranno solo grazie a un bonus casa selettivo.

Per queste ragioni, il Partito Democratico ha presentato quest’anno un “Piano nazionale per il diritto alla casa”, costruito insieme ad amministratori locali e associazioni, che punta a invertire davvero la rotta. Al centro c’è l’idea che lo Stato torni a investire con forza nell’edilizia residenziale pubblica, con la costruzione di nuovi alloggi sostenibili e il recupero delle case popolari oggi sfitte o inagibili. Non si può più tollerare che oltre centomila appartamenti restino inutilizzati mentre migliaia di famiglie vivono in attesa. Accanto a questo, proponiamo di triplicare il Fondo Affitti, cancellato dal governo, così da garantire un sostegno stabile alle famiglie che rischiano lo sfratto o che spendono troppo del proprio reddito per la casa. Il piano prevede anche di regolamentare con chiarezza gli affitti brevi turistici, restituendo ai Comuni la possibilità di governare un fenomeno che sottrae abitazioni al mercato residenziale e gonfia i prezzi. Infine, grande spazio deve essere dato alla rigenerazione urbana e alla creazione di nuove residenze universitarie, trasformando beni pubblici dismessi in spazi abitabili e accessibili. Come ha ricordato più volte la segretaria Elly Schlein, «la casa è un diritto, non un privilegio, e non possiamo accettare che venga negato a studenti, lavoratori e famiglie. Servono soluzioni strutturali, non tagli e condoni». Il PD chiede da anni un piano nazionale serio: il governo, invece, ha tagliato 330 milioni al fondo affitti, confermando di essere “il grande assente” su questo fronte.

L’Unione Europea può giocare un ruolo decisivo. Esistono già fondi utilizzabili per interventi abitativi: il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), che sostiene inclusione e lotta alla povertà; il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), che finanzia riqualificazione urbana e alloggi accessibili; il programma InvestEU, che ha una finestra dedicata alle infrastrutture sociali e può favorire investimenti in housing sociale ed efficientamento energetico. Anche il PNRR, nel capitolo rigenerazione urbana, offre margini che il governo dovrebbe sfruttare meglio, legandoli non solo alla transizione ecologica, ma anche all’accessibilità economica degli alloggi.

Milano è il banco di prova nazionale. Qui il caro affitti espelle studenti e lavoratori essenziali, qui gli affitti brevi incidono in modo tangibile sull’offerta di lungo periodo, qui il mercato immobiliare mostra che senza un settore pubblico forte la città rischia di diventare inaccessibile ai suoi cittadini. Non si tratta di demonizzare il turismo o l’investimento immobiliare, ma di governarli con regole giuste, come stanno tentando di fare altre capitali europee.

La sfida è duplice: da una parte, dare risposte immediate a chi oggi non riesce a pagare un affitto dignitoso, dall’altra, costruire un modello abitativo sostenibile per il futuro. La casa non è solo una questione di bilancio familiare: incide sulla possibilità di studiare e formarsi, sull’attrattività delle città, sulla mobilità del lavoro. Non affrontare seriamente questo problema significa accettare un Paese più diseguale.

Per questo bisogna battersi per politiche abitative serie, strutturate e inclusive. Non servono spot, servono investimenti pubblici, regole chiare e diritti confermati. L’Italia non può più permettersi di trattare la casa come un tema marginale: è tempo di riconoscere che l’abitare dignitoso e accessibile è un diritto essenziale, la base su cui costruire una società più giusta.

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