di Baffoli
Perchè spesso le donne fanno piu fatica degli uomini a far gruppo in nome di un obiettivo comune?
“Nessuna definizione, nessun concetto assoluto relativamente al tema proposto, ma dirò qualcosa solo sulla base di ciò che è esperienzialmente riconoscibile”.
Così dichiarava Francamaria Cantaro (analista e psicoterapeuta, amministratore delegato della scuola di PNL Meta di Bologna) in un’intervista rilasciatami qualche tempo fa.
La difficoltà delle donne a cooperare?
“Tutto questo va contestualizzato prima di essere analizzato.
Iniziamo col dire che è possibile che le donne incontrino qualche difficoltà a muoversi in gruppo se il contesto è professionale, quindi ‘patriarcale’ e maschile, in tal caso un gruppo femminile può fare fatica ad agire senza cadere nella trappola della competizione, del valore della gerarchia e del potere, tutti ‘stili’ propri del maschile, protagonista e autore del mondo del lavoro.
Per le donne, anche in ambiti lavorativi, la qualità della relazione con l’altro, la comprensione empatica diventano spesso prioritarie rispetto al potere e al successo professionali in sè. Questi ultimi purtroppo, dato il contesto sempre competitivo e la cultura dominante ‘patriarcale’ determinano una dinamica con le ‘sorelle’ basata sul modello maschile.
Ciò si verifica perchè, nonostante i cambiamenti culturali avvenuti, le donne spesso vogliono funzionare come maschi e non secondo le modalità femminili che manifestano invece la bellezza della differenza di genere”.
Accanto a questa riflessione, c’è altro per cui le donne talvolta non si alleano facilmente?
“C’è un’antica e originaria storia tra donne: ha a che vedere con due ‘streghe’ emozionali, che accompagnano la relazione madre-figlia, ovvero la gelosia e l’invidia. Qui il tema diventa molto complesso, pieno di articolazioni e sfumature di carattere psicologico e psichico e richiederebbe altro approfondimento. Si può dire in modo semplificato che, per certi versi, qualsiasi donna/figlia può riconoscere, magari solo in parte, la rivalità con la madre (e viceversa).
Oggetto di questa rivalità/competizione è il padre, da portare a sé in tutti modi con l’esclusione dell’altra. In seguito il padre come oggetto della contesa svanisce ma resta la dinamica.
Anche i figli maschi attraversano queste tonalità emotive nel rapporto con la madre, di cui sono gelosi ma riescono meglio a risolvere il conflitto con il padre traducendolo e trasformandolo in competizione chiara e visibile, a volte in aggressività che li aiuta a far perdere la connotazione più drammatica propria della gelosia.
Nella configurazione della triade madre-padre-figlio/a c’è uno dei semi, da cui prende forma, proprio perché esperienzalmente riconoscibile, uno dei meccanismi che sta alla base della competizione/rivalità nei gruppi femminili dove l’oggetto del contendere è il padre/maschio ed il conflitto con la madre che la figlia sente, dove invidia e gelosia si mescolano confusamente insieme, fa sì che nel rapporto tra donne a volte ci sia meno ‘chiarezza’ (per i maschi il concetto di competere e vincere è invece più limpido ed afferrabile). Sin da piccoli fra l’altro i maschi sono abituati a fare giochi di squadra in cui scatta la competizione e la necessità di una configurazione di gruppo più che individuale
La differenza c’è e va mantenuta.
Come aggirare questa “trappola”?
“Secondo la dottoressa Cantaro “per noi donne la competizione spesso non è ancora pienamente riconosciuta e si dovrebbe invece accettarla e volgerla verso cura, qualità della relazione, empatia …per essere vincenti. Approfondendo dunque questi valori e non appiattendosi e rimodellandosi semplicemente su stereotipi tipicamente maschili.
La differenza c’è: va mantenuta e valorizzata”.