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Decreto Salva-Milano, perché era sbagliato

Breve ricostruzione della vicenda Salva-Milano (con qualche ricaduta anche sul nostro Municipio)

di Francesco Forcolini

Tutto nasce circa 2 anni fa, in piazza Aspromonte a Milano, quando in un cortile viene aperto un cantiere e gli inquilini vi vedono costruire un palazzo di 7 piani.

Sembra incredibile ma i lavori proseguono rendendo invivibili gli spazi per gli abitanti che si rivolgono a questo punto alla Procura che contesta abuso edilizio, lottizzazione abusiva, falso e corruzione, reati a vario titolo addebitati ai costruttori, all’architetto Mazzoleni, ora assessore a Torino, ai tecnici del Comune e inoltre ai membri della Commissione Paesaggio che diedero via libera al progetto definendo l’area interna ai palazzi “spazio interno residuale” invece che cortile. Per due di loro, viene contestata anche l’ipotesi corruzione, in riferimento a una consulenza a un progetto di Mazzoleni. Tra gli indagati c’è anche Giovanni Oggioni, finito nel frattempo agli arresti domiciliari, che nella vicenda ha rivestito un doppio ruolo: prima come dirigente dello Sportello unico dell’edilizia del Comune di Milano, poi come membro della Commissione Paesaggio.

Questo è stato il punto di partenza di un’inchiesta della Procura Milanese che ha fatto emergere una pratica consolidata da alcuni anni che veniva utilizzata a Milano per “snellire” gli iter burocratici evitando le norme di legge che regolamentano le ristrutturazioni, dette Rigenerazione Urbana, e il nuovo costruito in campo urbanistico.

In pratica, anziché presentare piani urbanistici attuativi con i necessari interventi per l’incremento di abitanti in un’area urbana come parcheggi, fognature, spazi verdi, scuole, eccetera, che devono essere approvati e analizzati dagli uffici tecnici comunali, si accettava una SCIA, semplice autocertificazione di inizio lavori per presunte ristrutturazioni (le stesse che riguardano gli appartamenti) che invece si sono rivelate essere nuove costruzioni con enorme aumento di volumi per edifici di oltre 20 piani, in molte decine di aree della città dove esistevano piccoli edifici o capannoni: tutto tranne che ristrutturazione.

Ma questo metodo di costruire, che potremmo definire “alla milanese”, ha portato come conseguenza che gli oneri di urbanizzazione pagati al Comune dagli immobiliaristi sono stati di oltre il 40% inferiori a quelli dovuti in caso di nuovo costruito. Pare ormai accertato che si stia parlando di circa 2 miliardi di euro non versati nelle casse comunali da quando questa interpretazione della legge è stata adottata: notare che solo attualmente sono aperti oltre 140 cantieri.

È del tutto evidente l’enorme favore fatto ai vari fondi di investimento immobiliare e l’altrettanto enorme perdita di risorse per le casse pubbliche.

In risposta agli addebiti della Magistratura i decisori politici, cioè la giunta Sala, hanno invocato dal Parlamento una interpretazione autentica delle leggi vigenti che avvalorasse quella modalità messa in atto a Milano, attraverso una legge che non solo sanasse quanto avvenuto, ma estendesse a tutta Italia la prassi milanese.  

Con “spirito unitario” la cosiddetta Salva Milano è stata approvata alla Camera su presentazione della destra e con l’appoggio del PD, ma in seguito alla denuncia e alla mobilitazione da parte di moltissimi urbanisti, intellettuali e decine di associazioni e di comitati di cittadini è stata bloccata prima della sua definitiva approvazione al Senato.

Tralascio, perché ormai noti ai più, gli aspetti più gravi e grotteschi della vicenda fatti emergere dall’azione della Magistratura, nel tentativo da parte dei protagonisti e delle forze politiche di riferimento di coprire le palesi illegalità facendole diventare normativa acquisita.

Constatiamo quotidianamente che Milano è ormai diventata una città per ricchi assolutamente respingente per chi, anche con redditi da ceto medio, non può più permettersi di pagare affitti aumentati del 50% nell’ultimo decennio e un costo della vita fra i più alti al mondo.

È necessario un cambiamento radicale di politica abitativa da parte dell’Amministrazione Pubblica con interventi diretti e urgenti a partire dal recupero dei 15 mila appartamenti di proprietà del Comune e di Aler tenuti sfitti perché non essendoci soldi, come dichiarato, non possono essere risanati mentre sarebbero bastati un terzo degli oneri dovuti dai privati e non riscossi dal Comune per risanarli tutti e metterli a disposizione delle molte migliaia di famiglie che attendono da anni l’assegnazione di un alloggio popolare.

Così come è accertato che esistono e vengono mantenuti vuoti da parte di privati molte decine di migliaia di appartamenti che se affittati calmiererebbero il mercato della casa ormai fuori da qualunque controllo. Ecco appunto, è proprio il controllo della mano pubblica che è venuto da troppo tempo a mancare con una necessaria regolamentazione che blocchi e non favorisca la speculazione immobiliare e renda accessibile un bene primario e indispensabile come la casa.

Al margine del nostro municipio, svettano, con vista sul Parco Lambro, due enormi torri dette “Park Tower” come esemplari significativi dello scempio urbanistico illegale perpetrato dagli speculatori perseguiti dalla Procura con relativo sequestro degli edifici stessi, quando a pochissima distanza gli abitanti di Crescenzago vivono accanto ad un enorme edificio degradato, in pessime condizioni e abbandonato da 29 anni quale la vecchia sede degli uffici della ex Ciba-Geigy o sempre nel nostro municipio, in via Temperanza/Guinizelli l’ex Hotel Pasteur completamente vuoto a sua volta enorme, in degrado e abbandonato da 12 anni, entrambi oggetto di mobilitazioni e denunce da parte di Comitati che operano in zona da anni per il diritto alla casa, come ad esempio Abitare in Via Padova, e alle cui richieste l’Amministrazione Comunale non ha mai risposto. Amministrazione che dal 2014 dovrebbe applicare a questi stabili l’articolo 12 del proprio “Regolamento Edilizio”  per rilevare gli edifici inutilizzati e abbandonati in quello stato pietoso e destinarli ad un utilizzo pubblico abitativo che certamente nella nostra zona sarebbe un buon contribuito al drammatico bisogno di case a canone sociale.

Negli ultimi mesi qualcosa si è mosso e il nuovo Piano Casa proposto e approvato pare tenere conto di quanto sia drammatica la condizione abitativa a Milano.

Ma 10 mila alloggi a canone calmierato previsti nei prossimi 10 anni non potranno di per sé risolvere il problema se non si cambierà politica con interventi che contemporaneamente affrontino il diritto alla casa come prioritario in città, con un salto di qualità a partire dal reperimento di risorse necessarie per poter intervenire, come ad esempio adeguare gli oneri di urbanizzazione che, con l’8% massimo applicato sono i più bassi d’Europa rispetto al 30% di quelli di Monaco di Baviera e comunque rispetto a una media europea di circa il 20%.

Quindi bisogna ribaltare la finalità dell’intervento sino ad ora praticato tutto sbilanciato a favore di investimenti privati persino con pratiche che non a caso si sono rivelate illegali.

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Numero 02-2025

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