È stata inaugurata in piazza Belgioioso la prima statua che Milano ha dedicato a una donna: Cristina Trivulzio, principessa di Belgioioso (Milano, 1808 – 1871).
Ma chi è Cristina Trivulzio di Belgioioso?
È una principessa, fervente patriota, figura di spicco nel Risorgimento italiano, conosciuta anche in Europa per la sua passione politica e l’impegno per l’Unità d’Italia, giornalista, editrice di giornali politici, autrice di un Saggio sulla formazione del dogma cattolico e traduttrice in francese de La Scienza Nuova di G.B. Vico, arduo compito riuscitole superando altri traduttori, che non avevano chiarito, per il lettore francese, le parti più enigmatiche del testo originale.
Figlia del ricchissimo Marchese Trivulzio, a soli 16 anni ha la forza di respingere il matrimonio con un cugino per sposare invece l’affascinante Principe Emilio Barbiano di Belgioioso, sconsigliatole da molti amici in quanto poco affidabile: è noto per le sue abitudini libertine e per la debolezza verso il gioco.
Dopo quattro anni il matrimonio finisce per volontà di Cristina, che non accetta i continui tradimenti del marito e, con la separazione, intende salvaguardare la propria dignità, e anche il patrimonio, guadagnandosi però la diffidenza dei salotti milanesi. La coppia manterrà comunque una salda relazione di amicizia.
Cristina si batte con tutte le sue forze contro la dominazione austriaca, sostenendo i patrioti che rischiano tutto per liberare Milano. Per le sue idee e frequentazioni (dal 1820 in poi), è sotto stretto controllo della polizia, il cui capo cerca ogni possibile appiglio per incriminarla. Cristina si vede quindi costretta a lasciare la sua città e riesce ad ottenere un passaporto per Genova, dove conosce Mazzini, Garibaldi, Cavour, entra in contatto con la Carboneria e frequenta una nota “giardiniera”1 genovese.
A Genova le si aprono le porte di molti palazzi della nobiltà ma i suoi continui spostamenti allarmano la polizia austriaca che pone i suoi beni sotto sequestro, vincolandoli al suo ritorno in patria. Cristina non accetta il ricatto, preferisce l’esilio ed è sempre più vicina alla causa italiana. Nonostante l’epilessia che da tempo la affligge e limita spesso i suoi spostamenti, riesce con una fuga rocambolesca a raggiungere la Francia con l’aiuto di amici genovesi.
Ripara a Parigi, dove vive in un piccolo appartamento ed è costretta a lavorare per provvedere al suo sostentamento. Dipinge porcellane, insegna pittura, fa traduzioni in inglese e scrive articoli sulla questione italiana. Con l’aiuto della madre e l’intercessione dell’ambasciatore austriaco presso l’autorità viennese, riesce a sistemare la sua situazione finanziaria e a trasferirsi in un appartamento che le consente di aprire uno dei salotti più frequentati di Parigi, che diventa anche rifugio dei patrioti italiani in cerca di aiuto.
La sua bellezza, accompagnata da un carattere volitivo, da una cultura inusuale in una donna del tempo, dal suo vibrante amore per la libertà e dal coraggio per conquistarla fanno sì che il suo salotto sia frequentato dall’intellighenzia dell’epoca.
Frequenta personaggi celebri, si lega ad alcuni di loro con amicizia e affetto, senza mai scivolare in rapporti diversi da quelli intellettuali. Il solo uomo a cui resta legata tutta la vita si chiama François Mignet, storico poco incline alla vita mondana, molto amato dalla Parigi liberale. Nel 1838 nasce Maria, unica figlia di Cristina e, sembra, dello scrittore.
Siamo nel 1839: nonostante la contrarietà di Mignet, che si sente abbandonato, la principessa decide di rientrare a Milano. In quel periodo ha occhi solo per la figlia e segue con molto interesse un prelato, l’abate Coeur, “uomo nuovo che anticipava la dottrina sociale della Chiesa, proponendo un’alternativa cristiana al materialismo comunista, già in cammino. Ispirava una donna come la Belgioioso, tacciata di esserlo, comunista, quando cercava nei circoli di Saint-Simon e in quelli di Fourier un nuovo progetto sociale senza trovarlo”2.
Delusa da una Milano uguale a quella che aveva lasciato, Cristina si ritira nel suo castello di Locate, dove viene a contatto con le condizioni di vita dei suoi contadini. Scrive a Niccolò Tommaseo, col quale mantiene rapporti epistolari: “i bambini di questo mio paese sono nella più miseranda fra le condizioni umane…”3 e prosegue raccontando in dettaglio la situazione in cui si trovano e le difficoltà che incontra nel modificare la loro vita instaurando regole di igiene, di corretta alimentazione e di comunicazione civile tra le persone. Deve superare la diffidenza degli interessati che, in un primo momento, la considerano pazza o peggio. Va avanti imperterrita nel suo progetto, inaugura un asilo e quindi una scuola, non solo per i ragazzi ma anche per le ragazze. Alle donne impartisce personalmente i primi rudimenti di igiene e di puericultura. Viene trattata da “pericolosa sovversiva” dai padroni dei terreni vicini ma Cristina non si lascia scoraggiare e prosegue nella sua opera dettando anche regole per gli adulti. Stabilisce che le osterie vengano chiuse alle nove di sera, per evitare che gli uomini, tornando a casa ubriachi, alzino le mani su mogli e figli. Nei ragazzi cresce la volontà di frequentare la scuola e, due anni dopo l’avvio delle iniziative, le scuole passano da una a tre. Nonostante le critiche dei proprietari terrieri della zona, la Belgioioso continua a portare avanti le sue idee, ispirate al socialismo di Fourier e Saint-Simon.
Anche Alessandro Manzoni non mostra entusiasmo per l’iniziativa della Belgioioso. Quando viene a sapere che ha fondato a Locate un asilo per i figli dei contadini, esclama: “ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?”.
Va detto che Manzoni non ha mai apprezzato i comportamenti della principessa, incominciando dalla rottura del suo matrimonio. E infatti respinge Cristina quando va a salutare sua madre, Giulia Beccaria, gravemente malata e non la ammette alla cerimonia funebre, nonostante avesse sempre frequentato in passato Casa Manzoni.
Ma è tempo, per la principessa di Belgioioso, di lasciare il suo feudo di Locate per riaffacciarsi alla politica italiana. Mantiene una intensa attività sia come giornalista sia come editrice di giornali rivoluzionari, percorre l’Italia da nord a sud, incontra i maggiori esponenti del Risorgimento. Nel marzo 1848 si trova a Napoli quando le giunge la notizia della ribellione di Milano, le famose cinque giornate. Arruola 200 volontari, con una nave si porta a Genova e prosegue poi per Milano.
“Trovammo a Genova accoglimento dei più cordiali: a Milano egual gioia ci attendeva”4 La liberazione della città avviene ma durerà poco. Quattro mesi dopo gli austriaci ne riprendono il controllo. Nonostante la sconfitta la Belgioioso continua a lottare e l’anno successivo corre a difendere la Repubblica romana. Le viene affidata l’organizzazione degli ospedali, scelta felice, che realizza con grande capacità e dedizione, coinvolgendo tante donne di tutti i ceti sociali, che Cristina addestra. Assiste fino all’ultimo Goffredo Mameli, di cui aveva conosciuto la famiglia durante il suo soggiorno genovese, che muore a seguito di una infezione causata da una ferita e dall’amputazione di una gamba.
Nella sua attività ospedaliera “la Belgioioso, in una situazione di assoluta disorganizzazione, ottiene risultati che, non subito ma cent’anni dopo, con il fuoco delle passioni spento, avrebbero meravigliato gli storici della medicina. Ha fatto, con minori mezzi a disposizione, ciò che quattro anni dopo avrebbe ricalcato Florence Nightingale nella guerra di Crimea guadagnandosi un primato che sarebbe spettato alla principessa se le solite polemiche italiane non l’avessero oscurata.”5
Anche la Repubblica romana cade e la principessa deve affrontare una ennesima fuga, questa volta a Malta. Di qui, con la figlia Maria e pochi altri italiani, prosegue per l’Asia Minore (Turchia) dove fonda, in una landa desolata in vicinanza dell’attuale Ankara, un’azienda agricola dove fornisce anche riparo a tutti gli espatriati.
Scrive tutte le sue avventure in Oriente. Cinque anni dopo torna finalmente in Francia e poi a Milano, dove rientra definitivamente in possesso di tutti i suoi beni.
Sebbene abbia sofferto e soffra della subordinazione alla quale gli uomini costringono le donne, non si è mai occupata della condizione femminile. Scrive, su richiesta, un articolo per la Nuova Antologia, pubblicato a gennaio 1866 in cui sostiene che non si è mai espressa sull’argomento perché non avrebbe potuto garantire la sua imparzialità.
“Che la donna non sia né moralmente né intellettualmente inferiore all’uomo, se non per l’azione esercitata dal fisico sul morale e sull’intelletto, o ancora per gli effetti della educazione, è cosa ormai generalmente riconosciuta e ammessa”6. La società non si è liberata dai pregiudizi di un tempo e l’uomo era riuscito a convincere la donna che la differenza è l’essenza del fascino femminile. Le donne si sono adattate al pensiero maschile e, in taluni casi, nascondono la loro cultura per non risultare sgradevoli e noiose. Comportamenti diffusi non solo in Italia: a Parigi Cristina aveva trovato chi, per insultarla, la definiva “intellettuale”!
La principessa si spegne nella sua casa di Milano il 5 luglio 1871 e viene sepolta a Locate Triulzi. Da Carlo Cattaneo è stata definita “la prima donna d’Italia”.
1-Giardiniera: sono indicate come “giardiniere” le donne affiliate alla Carboneria nella prima fase del nostro Risorgimento. Si radunavano, anziché nelle “vendite carbonare”, nei loro giardini.
2-3-5 P.L. Vercesi, La donna che decise il suo destino, ed. Neri Pozzi
4-Principessa Cristina Triulzi-Belgioioso, L’Italia e la Rivoluzione Italiana, da “Revue des Deux Mondes 1848”
6-Cristina di Belgioioso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, da “La Nuova Antologia”, 1866.