Quanto tempo dedica la scuola alla crescita dell’immaginazione?

Qualche riflessione sull’apprendimento facilitato dal rapporto affettivo.

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Foto: Ben White

Le scuole si sono aperte a metà settembre in tutta Italia. Dovremmo aggiungere “regolarmente”, ma sappiamo quanto gli operatori scolatici siano impazziti per trovare soluzioni a lezioni da seguire in presenza e non più a video. Ma, al di là delle soluzioni logistiche di ogni istituto scolastico, chiediamoci in che cosa consista l’insegnamento e scopriamo che spesso l’imparare dipende da un rapporto affettivo tra lo scolaro e l’adulto, tra il bambino e colui che gli legge le storie, sia esso il padre, il nonno, la mamma…

Si chiedeva don Milani: “Cosa è che divide i ricchi dai poveri? La parola”, rispondeva. “Ciò che manca ai miei ragazzi è il dominio della parola”. E continuava nel ragionamento: “il figlio del contadino e dell’operaio conoscono a malapena un migliaio di parole, mentre il figlio dell’avvocato, del medico, il laureato che ha potuto studiare conosce tra i quattro e i cinquemila vocaboli.”

Nella famosa “Lettera a una professoressa”, i ragazzi di Barbiana affermano: “…è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”. Infatti quel libro, più che un’analisi sociologica, è una denuncia di un certo tipo di scuola che divide tra bravi (i figli dei ricchi) e somari (figli dei poveri), che invece di formare, emargina e divide.

Si dirà che oggi la scuola non è più classista come un tempo. Ma invece c’è bisogno, accanto a una formazione tecnico-giuridica, di una educazione della fantasia.
“Carpe, Carpe diem”, Cogliete l’attimo, ragazzi”, dice il protagonista del film L’attimo fuggente, Robin Williams. “Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.”

Ci abbiamo mai pensato? Quant’è il tempo che la scuola dedica alla formazione dell’immaginazione?

Il valore della lettura

Ognuno comprende che il bambino, prima ancora di percepire il senso del racconto, percepisce il calore, l’affetto di colui che glielo legge. Tutti hanno osservato che i bambini chiedono continuamente di leggere loro le storie che conoscono a memoria. Perché? Perché amano il rapporto affettivo che si instaura attraverso la lettura con l’adulto, sia esso un nonno o un genitore o un fratello maggiore.

Daniel Pennac, uno dei più grandi scrittori francesi viventi, raccomanda agli insegnanti di lasciare che gli scolari attraverso i libri possano sognare, e chiede di abbandonare quella che chiama “lettura medico-legale”. “La conoscete la porta d’ingresso naturale della lettura? È il viso e la voce di colui o colei che ci racconta la nostra prima storia… Poi arriva il momento di imparare.”

Daniel Pennac
Daniel Pennac

Ho trovato interessante ciò che Pennac ha scritto su un numero di Robinson (inserto de la Repubblica) di qualche mese fa: “Il bambino nasce, il bambino vive, il bambino non vuole lasciarci per andare a dormire. Non gli piace l’idea di lasciare la vita, anche solo temporaneamente. Il letto è una minaccia che gli strappa urla disperate. Per abbandonarsi al sogno ha bisogno di una compagnia all’altezza della nostra, che sia altrettanto viva, altrettanto preziosa, altrettanto intima della nostra… La bella storia che mi racconta la mamma è la mamma.

La virtù principale di un racconto è il narratore. Ascoltando quella storia sono disposto ad addormentarmi. Con la voce di papà o della mamma che mi gonfia le vele, allora sì, sono disposto a imbarcarmi sul vascello del sonno. La letteratura la fanno in primo luogo coloro che si chinano sulla culla del bambino per popolarla dell’equipaggio dei sogni: re, regine, fate, streghe, porcellini ecc. È così che cominciamo a leggere senza saper decifrare nemmeno una lettera. Ed è qualcosa di gratuito. Di quotidiano. Di normale. È amore. Ed è già la letteratura. Poi arriva il momento di andare a scuola, di imparare… La scuola ci fa delle domande: ‘Perché la fata ha fatto così? Perché il re ha detto cosà? Cosa intende dire quando scrive tale frase?’ Eccoci piombati nel laboratorio della letteratura medico-legale. Per ogni frase, la sua bella dose di domande. Per ogni domanda l’obbligo di rispondere. Non è più gratuito. Si paga. La moneta è il voto. Non è più amore. E ci allontana dalla letteratura. Papà e mamma sono spariti. Con la scusa che ‘so leggere’, e che la scuola si è impossessata di me, la sera non mi leggono più niente. Mi abbandonano all’universo dell’apprendimento scolastico, all’eterno commercio fra la lettura e il voto. Ero un lettore che aveva spiccato il volo nella letteratura e ora mi ritrovo a essere uno scolaretto asservito al voto…

Mio figlio, mia figlia non leggono, si lamenta la signora Tizia o il signor Caio. È un disastro, i nostri figli non leggono niente. Vorremmo così tanto che leggessero. Non è vero, cari miei. Non volete davvero che leggano, volete che riescano negli studi, è ben diverso. Non volete fare di loro dei lettori, volete farne dei laureati. Non volete che prendano il volo nella letteratura, volete che sappiano parlare in maniera intelligente di libri che non hanno letto…”