
Presentazione del restauro della “Deposizione” con intermezzo musicale dell’orchestra Hoellenkapelle del liceo A. Volta di Milano
L’oratorio dei ss. Carlo e Vitale alle cascine Abbadesse
di Anna Maria Roda
Non molto distante dalla piazza Gae Aulenti con i suoi avveniristici grattacieli, si trovano le testimonianze della antica Milano extramurana, la Cascina delle Abbadesse con il suo settecentesco oratorio dedicato ai SS. Carlo e Vitale alla Maggiolina.
La cascina prima del 1600
Già dai tempi dei romani la località doveva essere uno snodo stradale che collegava Milano con il borgo di Pratocentenaro presso il fontanile Freddo identificabile con la “mansio Fluvio Frigido” dell’Itinerario Gerosolimitano e anche ritrovamenti archeologici ottocenteschi pare confermino tale ipotesi.
Attorno al Mille la zona, ricca di acque, vedeva gli estesi possedimenti dei più importanti monasteri cittadini. Tra questi nel sec. XI vennero a trovarsi anche le proprietà delle monache di Sant’Ulderico di Bocchetto, da questo prende il nome della località “alle Abbadesse”. Ciò risulta da una convenzione stipulata nel febbraio 1079 tra Palma, madre “Abbadissa Sanctae Dei Genetricis Mariae quod dicitur Dathei quod est aedificatum intra civitatem Mediolani” e Ilderato, figlio del fu Amisone. La Badessa concedeva la cessione di un terreno dietro pagamento di un affitto “al di là della Vepra” nel luogo detto delle “Cassine della Badessa”. Quindi tale documento testimonia che qui non era presente un monastero, ma solo una proprietà monastica. Peraltro la proprietà delle monache su questa porzione di territorio continua nei secoli, tanto che abbiamo documenti del 1700 che lo testimoniano.
La compagnia della santa croce
Nel Seicento la Cascina era un nucleo di notevoli dimensioni, presente nell’Atlante Geografico d’Italia del Magnini del 1620. Il nucleo descritto doveva essere circondato da mura, mentre attorno si stendevano l’orto, la vigna, la campagna e il prato; due fossi vi giravano attorno: il canale Martesana e la roggia del Fontanile vivo. Tutto attorno vi erano le proprietà dei Gesuiti e della Fabbrica del Duomo.
Fondata nel 1644, la Confraternita della Santa Croce porterà una ventata di novità nella cascina. Alla sua fondazione la confraternita non aveva cappella, ma si riuniva attorno a una Croce che probabilmente sorgeva all’incrocio delle vie della borgata.
Solo nel 1679 la Confraternita acquistò dal monastero un appezzamento di terra per edificarvi una cappella a suo uso.
I documenti attestano che grande benefattrice della Confraternita fu la contessa Marliani, la cui famiglia aveva possedimenti in loco, tanto che promosse la costruzione di un oratorio più ampio attorno agli anni Trenta del Settecento.
Tale situazione cambiò con la morte della contessa Marliani (1738) e del marito (1768) e con il passaggio dell’obbligo di tutela prima alla Ca’ Granda e poi ai Gesuiti, finché nel 1782 i decreti austriaci decisero la soppressione di tutte le confraternite, per cui la tutela della chiesetta passò alla parrocchia di San Bartolomeo e dal 1790 alla parrocchia di Santa Maria alla fontana.

La cappella tra ‘700 e ‘800
Da un documento redatto da un funzionario della Repubblica Cisalpina nel 1798 sappiamo che venne riconosciuta la valenza artistica dell’oratorio e che gli abitanti delle Abbadesse erano riottosi all’obbligo di cancellare tutte le immagini sacre che vi erano sui muri esterni della cascina.
Con la Restaurazione riprese la vita religiosa nel borgo come dipendente dalla parrocchia della Fontana e in occasione della visita pastorale nel 1897 dell’arcivescovo Ferrari, anche le Abbadesse vennero visitate.
Sarà proprio la visita del Ferrari, che notò l’esiguità della chiesa rispetto al numero di chi la frequentava, a far nascere l’idea di un ampliamento dell’edificio.
Presso l’Archivio della parrocchia di Santa Maria alla Fontana abbiamo ritrovato il progetto e i disegni dell’ipotetico ampiamento redatti dall’architetto Cesa Bianchi, già architetto della Fabbrica del Duomo e parrocchiano della Fontana, nel 1898. Per fortuna, il progetto non venne realizzato. Solo a metà Novecento si aggiunse al posto della sacrestia un coretto per aumentare la capienza dell’edificio.
Un sopralluogo della Soprintendenza ai Monumenti del 1911 decretò la cappella Monumento nazionale, cosa che evitò la sua distruzione durante la riqualificazione urbanista degli anni ’50-’60 del Novecento. Dal 1932 dipende dalla parrocchia di Sant’Agostino officiata dai Salesiani.

La cappella e gli affreschi
Dai documenti possiamo dedurre che furono i conti Marliani che aiutarono la Compagnia nella costruzione della nuova chiesa che, probabilmente, venne costruita tra il 1719 e il 1722. Nelle Note della Compagnia vediamo che le spese spicciole per la costruzione erano sostenute dalla medesima, mentre ai conti più consistenti pensavano i conti Marliani.
La chiesetta da punto di vista architettonico non ha alcuna pretesa nella sua estrema semplicità: il progetto ricalca numerosi esempi di oratori presenti nei Corpi Santi. L’oratorio delle Abbadesse conserva ancora la struttura originaria (tranne l’ampliamento a sinistra dell’altare): pianta rettangolare di 13 metri di lunghezza, 8,70 di larghezza e 10 in altezza. La facciata è semplice, impreziosita da un portale settecentesco in pietra grigia con profilature e cimasa decorata con la croce che nasce da rami di palma sostenuta da una “M” il tutto in una elaborata cornice. Sopra la cimasa si apre un finestrone rettangolare, mentre un esile campanile si innalza dalla zona absidale.
L’interno è a navata unica divisa in quattro piccole campate con archi a tutto sesto: le pareti delle prime tre campate con affreschi di cui diremo a breve; la chiesa termina con una falsa abside approfondita da una nicchia che sporge anche dal muro esterno. L’altare in scagliola, molto rovinato a causa dell’umidità, porta al centro una croce. Esiste ancora l’antica balaustra in marmo di Arzo.
Per molto tempo gli affreschi vennero assegnati al Seicento e alla scuola del Morazzone, peraltro su alcuni siti è presente tale erronea informazione, ma se la chiesa venne edificata nel primo ventennio del 1700 tale ipotesi crolla.
Sono le Memorie della Compagnia a dichiarare con chiarezza chi sia l’autore. Dal 1724 al 1735 la Compagnia paga un debito al pittore Pietro Francesco Maggi, ma non direttamente, bensì tramite la contessa Marliani, pagamento saldato nel 1735.
All’epoca il Maggi era molto famoso e richiesto, quindi fu certamente grazie all’intervento della Marliani che accettò un incarico in un luogo così isolato.
Gli affreschi vennero restaurati nel 1949 dal pittore Carlo Castelli poiché si presentavano estremamente rovinati.
Il Maggi nacque verso il 1680 a Milano e morì nel 1738, quindi questi affreschi sono tra le sue ultime opere, frutto della maturità dell’artista. Maggi lavora in diverse chiese e palazzi nobiliari della Lombardia e agli inizi del Settecento risente dell’ariosità del Tiepolo presente a Milano nel 1730. Lo stile del Maggi è quello del barocchetto lombardo fatto di colori pastello, visioni ariose e solari e delicate, lontane dalla drammaticità del barocco.
Entro cornici sagomate, uguali a coppie opposte, analizziamo gli affreschi, tentando una lettura iconografica dell’insieme.
Il primo a destra raffigura L’angelo custode che tiene per mano un bambino. Accanto troviamo la Maddalena penitente. Ultimo affresco della parete destra è San Carlo Borromeo in preghiera davanti al crocifisso.
La sequenza dei dipinti della parete sinistra comincia con San Rocco. Accanto troviamo San Francesco mentre riceve le stimmate e, da ultimo, Sant’Andrea Avellino in estasi.
Possiamo leggere gli affreschi a coppie. La prima: Angelo custode e San Rocco sono parte della devozione popolare a cui era caro l’affidamento all’angelo custode nelle vicende della vita e a san Rocco invocato a difesa di tutte le malattie.
La seconda coppia, Maddalena e Francesco d’Assisi, sono santi della penitenza, santi cari alla Compagnia della Croce e quindi invocati dalla stessa in modo particolare.
Da ultimo due ecclesiastici: Carlo Borromeo, colui che aveva favorito la nascita delle Compagnie della Croce; più ardua è la spiegazione della presenza di sant’Andrea Avellino, chierico dei Teatini che a Milano avevano convento in Sant’Antonio abate, canonizzato nel 1712, quindi pochi anni prima della realizzazione dei nostri affreschi.

Altre opere
Una preziosa tela di anonimo lombardo del Seicento raffigurante il Cristo in Croce, ora custodita presso la Rettoria dei Salesiani nella parrocchia di Sant’Agostino.
Di tardo Ottocento è invece l’altorilievo in gesso policromo raffigurante la Deposizione di Cristo. L’opera, collocata in una nicchia del coretto moderno, proviene (secondo una testimonianza orale) da una chiesa distrutta dai bombardamenti dell’ultimo conflitto. Purtroppo la posizione e il materiale fragile hanno favorito nel tempo la creazione di una profonda spaccatura che rischia di far crollare la parte centrale del manufatto. Accanto al corpo esanime del Cristo, delineato con attenzione anatomica, vediamo la Madonna che sorregge il capo e il busto del Figlio, un giovane Giovanni dai lunghi capelli che guarda verso l’alto, la Maddalena che tiene il volto tra le mani ai piedi di Gesù e da ultimo una pia donna che sorregge una mano del crocifisso.
Domenica 9 febbraio 2025, proprio per iniziare a raccogliere i fondi per contribuire al restauro, è stato organizzato un concerto di musiche classiche eseguite da Armonia Ensamble, una compagine musicale di giovanissime musiciste applaudite da una chiesetta stracolma di persone. Il successo dell’iniziativa continuerà con l’apertura straordinaria alcune domeniche pomeriggio con possibilità di visite guidate.
Per contribuire al restauro dell’altorilievo si può mandare un contributo alla parrocchia di sant’Agostino (IBAN IT20N0503401689000000006270), precisando nella cusale “Restauro altorilievo deposizione”.




