di Valentina Rigoldi
L’11 marzo 2024 ricorrono i 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia, il medico che ha dato il nome alla più importante riforma della psichiatria in Italia, che ha portato a una nuova visione della malattia mentale e della sua cura, smantellando le grandi istituzioni manicomiali, spostando sui territori la cura stessa e cercando di creare percorsi di integrazione nelle comunità territoriali di appartenenza per le persone portatrici di disagio mentale, avviando la cosiddetta “deistituzionalizzazione”.
La Casa della Carità ha fatto suo l’insegnamento di Basaglia non solo nel campo della salute mentale, ma adottando il metodo della deistituzionalizzazione in tutte le sue attività di accoglienza e cura di persone in condizioni di marginalità sociale. Ne sono un esempio i laboratori artistici e di socializzazione, oggi racchiusi sotto il nome di “MigrArte”, rivolti alle persone ospiti della Casa, ma anche a tante persone fragili seguite dai servizi diurni e dai progetti territoriali che la Fondazione porta avanti nel Municipio 2.
MigrArte affonda le sue radici a Casa Elena, esperienza nata nel 2001 a Cascina Gatti, difficile quartiere di Sesto San Giovanni, caratterizzato da una forte presenza di abitanti con problemi di sofferenza psichica ed emarginazione sociale. L’iniziativa si è poi trasferita all’interno della Casa della Carità, coinvolgendo in primis gli ospiti della Fondazione e poi le persone senza dimora che frequentano le docce di via Brambilla, le persone con sofferenza psichica segnalate dai servizi di zona e i residenti delle case popolari del Municipio 2 seguite dal servizio di custodia sociale della Casa.
I laboratori riabilitativo-terapeutici della Casa della Carità, che prevedono percorsi individuali e di gruppo, comprendono attività come arteterapia, fotolinguaggio, teatro, musica, attività sportive e uscite sul territorio.
«L’arte si è rivelata uno strumento perfetto per creare integrazione e inclusione. Attraverso il linguaggio universale dei colori e delle emozioni, infatti, anche le persone che faticano a esprimersi a parole o non conoscono l’italiano riescono a raccontare le proprie storie e a far emergere i loro bisogni più profondi. Per gli ospiti stranieri, in particolare, l’espressione artistica è un modo per creare un ponte tra la terra d’origine e quella che li accoglie», spiega Serena Pagani, coordinatrice di MigrArte.
Dal 2021 è inoltre nata una piccola, ma preziosa, esperienza di teatro, ideata e condotta da Alberto Pluda – operatore della Fondazione nell’ambito della custodia sociale, teatro-terapeuta e docente di teatro presso la Banca del Tempo negli spazi di Artepassante – che racconta: «Attraverso il lavoro su respiro, attenzione, concentrazione, i sensi, l’ascolto e il gruppo, abbiamo creato un nuovo spazio per i nostri ospiti dove raccontarsi, offrendo loro un modo diverso per esprimersi e comunicare».