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Aiutiamo e aiutiamoci rimanendo a casa

In un periodo in cui i sentimenti di solidarietà e vicinanza sono più forti, contribuiamo al bene comune con un atto concreto.

di Dottoressa Antonella Robbiani, specialista in malattie dell’apparato respiratorio Casa di Cura san Camillo


Tutti ormai conosciamo per nome il virus che ha causato e causa l’attuale pandemia, si tratta di un coronavirus che crea uno stato patologico chiamato sindrome respiratoria acuta grave (SARS-COV2).

Anche i sintomi che provoca sono ormai ben noti: febbre, tosse secca e stanchezza fino ad arrivare al quadro più severo di polmonite interstiziale che può provocare grave insufficienza respiratoria e renale e che può portare alla morte.

In questi mesi abbiamo imparato a conoscere e riconoscere anche l’andamento clinico di tale sintomi: chi inizia gradualmente anche solo con una congestione nasale e/o febbricola, chi con la perdita di olfatto e gusto (anosmia ed ageusia) per poi, in alcuni casi, evolvere nel quadro clinico più severo dell’insuficienza respiratoria acuta.
In genere sono le persone più fragili, come gli anziani, i pazienti affetti da patologie croniche o con stati di immunodepressione congenita e acquisita.

Il periodo di incubazione sappiamo essere dai 2 agli 11 giorni, con un massimo di 14 e la via primaria di trasmissione sono le goccioline (i famosi drops) che con la tosse o lo starnuto di una persona infetta diffondono il virus. Anche i contatti personali, ad esempio toccare gli oggetti con le mani (possibile fonti di contagio) e poi portarsele alla bocca, naso od occhi senza una corretta disinfezione, possono essere importanti fonti di contagio.
Anche i numeri di diffusione del virus sono ben noti a tutti. Ormai fin dai primi giorni del mese di marzo ci siamo abituati a fare i conti con il gran numero di morti e ricoveri in terapia intensiva e nei reparti ordinari che ormai sono stati tutti convertiti i reparti cosiddetti Covid.

L’emergenza sanitaria che inizialmente ha travolto la Cina, ormai si è estesa anche al nostro Paese e sta modificando le nostre abitudini. Per scelta o per obbligo siamo stati costretti, e lo siamo, tutt’ora a rimanere a casa nella speranza che ciòpossa fermare il contagio .

L’isolamento a cui abbiamo dovuto sottostare negli ultimi mesi con la “normalità” che pare un vano ricordo, ha sortito un eccellente risultato con la diminuzione del numero dei ricoveri sia in terapia intensiva, sia dei ricoveri ordinari nei reparti Covid come pure la diminuzione del ricorso al pronto soccorso.

Questo purtroppo ha indotto molti ad allentare la guardia: mentre mi reco in ospedale per il mio consueto turno vedo persone che indisturbate fanno jogging per la città senza la compagna silenziosa di questi mesi: “la mascherina”, gruppi di persone ferme a bere un caffè (ormai da asporto) senza prestare adeguata distanza di sicurezza per impedire che le famose goccioline contenenti il virus possano diffondersi indisturbate da un ospite all’altro determinando così l’amplificazione del contagio.

È importante e vitale rispettare poche fondamentali regole, che non sono imposizioni, ma sono norme di buon senso e di igiene che permettono di evitare il continuo perpetuarsi e diffondersi di questo tremendo virus.

Come medico, ma soprattutto come medico pneumologo, vi garantisco che i danni clinici e fisici causati da questo virus sono tremendi e soprattutto invalidanti, senza dimenticare la solitudine a cui i pazienti ricoverati, sia per le problematiche cliniche, sia per patologie non legate al Covid, si trovano. Una condizione cui nessuno di noi vorrebbe essere coinvolto.

È importante quindi, soprattutto in questo periodo natalizio, che tutti quanti ci adoperiamo per attuare quelle poche ma importanti norme: distanziamento, uso costante della mascherina e, soprattutto, rimanere nelle nostre case con i famigliari più stretti, che ci permetteranno di trascorrere un Natale diverso dal solito ma sicuramente aiutando chi sta lavorando quotidianamente e assiduamente per combattere questo tremendo nemico invisibile.

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Numero 01-2024

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